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Sileno, Bacco, Ovidio e Catel a Ponte Milvio

Come è noto (c'è internet che ormai racconta ogni cosa) uno dei più grandi poeti romani, Ovidio (Publius Ovidius Naso, 43 a. C - 17 d. C.) dopo essere stato sulla cresta dell'onda e stimatissimo da Augusto viene costretto all'esilio dall'imperatore, probabilmente per un involontario sgarbo.


Da Ponte al Ponto, verrebbe da scherzare… ma lasciare la sua magnifica villa a Ponte Milvio per andarsene a Tomi sul Mar Nero non deve essere stato affatto piacevole.

La villa, nei secoli, abbandonata, viene sepolta tra rovine e esondazioni del Fiume, scomparendo.
Se ne ritrovano tracce soltanto grazie agli studi e agli scavi, che riportano alla luce antichi percorsi viari, sepolture, monumenti, dei quali tutta la zona tra la Flaminia, la Clodia, la Cassia, il Tevere è ricchissima (lo testimonia Plinio il Vecchio).

A seguito dei lavori di sterro nella zona in cui l’ACEA doveva edificare capannoni, su via di Tor di Quinto a fianco a Ponte Flaminio, nel 1999 emergono quindi le rovine di una villa e suoi annessi che viene identificata per quella di Ovidio.
Si trovano a circa sette metri di profondità, sepolte sia dagli smottamenti della collina soprastante che dai materiali di esondazione de Tevere, lì a fianco.

Vi si trovano importanti reperti, tra i quali un interessante mosaico che viene esposto solo al Museo Nazionale Romano, quando ancora funzionava, per merito del nostro già citato Soprintendente Gaetano Messineo, vent’anni fa.
Ora la mancanza cronica di fondi del Comune e della Soprintendenza costringono a tenerlo relegato e invisibile nei locali della sede Acea limitrofa.
Poiché è molto difficile trovarne le immagini, ve lo proponiamo come già pubblicato su Voce Romana n.53 del 2018 in b/n e con l’immagine centrale a colori.

Vi è stato identificato il volto di Sileno, l’antica divinità agricola della mitologia greca, sempre raffigurato come un vecchio grassoccio, saggio e gaudente, immerso tra pampini di vite in quanto grande estimatore del vino, e per questo strettamente collegato alla figura del più giovane dio Bacco.
L’allusione a Bacco è dovuta al fatto che la villa di Ovidio era inclusa in un grande terreno comprendente una vigna, dalla quale si otteneva l’amato e pregiato succo che inebriava l’animo del poeta.
E che, stranamente, milleottocento anni dopo, aveva identico effetto sul grande artista Franz Ludwig Catel, che sullo stesso terreno ma certo senza saperlo, aveva edificato la sua villa “fuori Roma” con annesso vigneto e produzione di buon vino per sé e per gli ospiti, artisti e visitatori che provenendo dai paesi del nord erano costretti a percorrere quella strada e ai quali sembra gradisse offrire sempre qualche buon bicchiere.

Oggi quel terreno, oltre che nelle biografie di Catel (Berlino 1778 – Roma 1856), è identificabile da un quadro che dipinse intorno al 1830, proprio dal sommo dell’attuale collina, cosiddetta Fleming dal nome del suo colonizzatore, cioè parte di Vigna Clara, per l’esattezza quella traforata negli anni Venti del Novecento per il passaggio di una fantomatica linea ferroviaria e trent’anni dopo dal tunnel della nuova “via Olimpica”.
Dal quadro, che ritrae una scena campestre di mietitori in riposo tra gli alberi, si evince l’esatta posizione dell’autore, notando i campi di grano che scendono fino al Tevere (nel punto che sarà attraversato da via del Foro Italico), con la sottostante Torre Lazzaroni, e di fronte, ben identificabili, la collina sovrastata da Villa Glori, l’ansa tiberina dell’Acqua Acetosa (oggi sede della Canottieri Aniene) e a sinistra Monte Antenne, mentre Ponte Milvio è nascosto dal colmo del colle dietro agli olivi.

Dobbiamo a questi artisti se, in mancanza della fotografia a colori, possiamo oggi godere della vista di quei paesaggi affascinanti con tutti i loro particolari, che altrimenti sarebbero stati perduti per sempre.


Sandro Bari, Direttore Rivista "Voce romana" © Riproduzione riservata
Dossier condominio 206/2025


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