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La Rupe Tarpea

fra tradimenti, uccisioni e vino buono


Le libagioni alle quali ci si è assoggettati (ob torto collo, naturalmente!) durante il periodo natalizio ci hanno riportato alla mente i periodi di gioventù, quando era in uso, specie nelle famiglie più benestanti, passare il Capodanno in qualche locale caratteristico, per cenare, ballare e festeggiare tra sciampagna, coriandoli, "ricchi premi e cotillons".

Uno dei locali in voga per decenni è stato "La Rupe Tarpea", che si trovava in via Veneto 13 e aveva accanto il famoso night Jicky Club (e altra sede sulla Cassia col rinomato Belvedere delle Rose, sempre di proprietà Crociani).
Finita l'epoca del night, al suo posto si trova oggi una sala giochi o simile.
Ma a noi interessa l'origine del locale, per mantenere l'impegno di ricordare un'"altra Roma", ormai sparita.

Il locale originario era nato altrove, nel 1924, da un adattamento delle grotte sottostanti alla Rupe Tarpea dove dal 1919 esisteva un deposito di vini nel quale la mescita - i romani ancora bevevano il vino buono, e parecchio - avveniva non in litri, fojette o quartini, ma in quartaroli (poco meno di 15 litri) e bariletti (5 boccali, poco meno di 10 litri).

Uno dei proprietari, Luigi Falcioni, vi ricavò una caupona antiqua, insomma una bettola sullo stile romano, composta da quattro grandi sale a diversi livelli collegate da intrecci di scale lignee poco illuminate da lucerne di coccio imitanti quelle antiche.
Le serate erano allietate da canto accompagnato da chitarra e mandolino, e i turisti accorrevano a frotte.
Il richiamo oltre che godereccio era anche culturale, in quanto proprio in quei luoghi si era fatta una parte della storia di Roma.

Ricordiamo infatti che lì in alto incombeva la rocca dalla quale venivano gettati i condannati a morte, e sulla quale fino al Medioevo si eseguivano pene capitali: prendeva il nome da Tarpea, la vergine traditrice, figlia del comandante romano Tarpeio, che aveva permesso ai Sabini assedianti Roma di entrare nell'Urbe aprendo loro la porta in cambio di "quello che portavano al braccio sinistro", intendendone - lei - i bracciali e gli anelli.
Non così i Sabini, comandati da Tito Tazio, i quali rispettarono l'impegno, ma sommergendola con i pesanti scudi che portavano al braccio sinistro, fino a soffocarla.
Il luogo divenne così eterno esempio della punizione che meritano i traditori.
Ma questo è ciò che narra la leggenda: più probabilmente il Mons Tarpeius prendeva il nome da una divinità tutelare del luogo, al quale si giungeva da una scalinata detta Centum Gradus (cento gradini) e poi da un sentiero adatto slo alle capre, da cui anche il nome di Monte Caprino.

Nelle grotte della Rupe Tarpea si radunavano, oltre a fini bevitori e turisti curiosi, anche i primi esponenti di quello che sarebbe diventato il Gruppo dei Romanisti, i quali allora non erano soltanto severi studiosi e rigorosi accademici, ma si distinguevano per essere esponenti della cultura romana in ogni campo, da quello storico e antiquario a quello giornalistico e artistico.

Tra quei buongustai estimatori della cucina, del buon vino e delle colte disquisizioni che
esso favorisce, c'erano Attilio Taggi, Trilussa, Romolo Lombardi, Goffredo Ciaralli, Aristide Capanna, Gigi Huetter, Ceccarius, Marcello Piermattei, Umberto
Gnoli, Alessandro Tomassi, Giulio Cesare Santini... il fiore della Romanità, coloro
che nel 1940 avrebbero inaugurato la storica Strenna dei Romanisti ufficializzando
l'omonimo Gruppo.

I lavori di sbancamento che preludevano all'apertura di via dei Fori Imperiali convinsero i proprietari a cessare l'attività nell'ottobre del 1930 e riaprirla in via Veneto, dove il successo fu eccezionale: lo stile e gli interni erano stati creati simili agli originari, il nome cambiato in "Dalla Rupe Tarpea alle Grotte di Enotria", la clientela si incrementò con l'apertura del night club che ospitò grandi esecutori, orchestre, personaggi: vi passarono i più famosi esponenti dello spettacolo fino agli anni '70.

Certamente, il servizio non era più quello che una volta assicurava splendide "pagnottelle gravide di prosciutto o di burro e alici" e vino dei Castelli, ma la cucina era comunque eccellente.
Nel frattempo l'antica Rupe era stata ripulita dai fabbricati secolari che la cingevano alla base, era stata aperta la spaziosa via della Consolazione che dava accesso agli scavi dei Fori, all'omonima chiesa e al nuovo Comando dei Vigili Urbani, inaugurato nel 1954 restaurando i locali fatiscenti dell'obsoleto ospedale, dove nel 1606 era stato ricoverato perfino Michelangelo Merisi, il Caravaggio, reduce da una pugnalata in una delle sue abituali risse da osteria.

Alcune notizie di questo articolo sono state tratte da Osterie romane, di AA.VV. ed. Ceschina,1929, uno dei tanti libri utili per chi fosse interessato a storie e personaggi di una Roma che non c'è più.


Sandro Bari, Direttore Rivista "Voce romana" © Riproduzione riservata
Dossier condominio 193/2023


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