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Un Castello dal nome... controverso
Castel Giubileo, una collina tufacea in un'ansa del Tevere sulla riva sinistra, a fianco alla via Salaria
Oggetto di studi storici e archeologici, rivela essere stato un avancorpo di osservazione dell'antica Fidene, distrutta dai Romani nel 426 a.C.
La zona fu successivamente ripopolata, tanto che, sotto Tiberio (I sec.), vi fu edificato un anfiteatro che, malcostruito, crollò durante uno spettacolo causando, dicono, 20mila morti e 30mila feriti.
La collina, assunto il nome di Monte S.Angelo, passò per vari proprietari, fino alla famiglia Giubilei che, nel Trecento, dette il nome al castello ivi edificato. Occupato dal Re di Napoli, fu distrutto dalle truppe romane di Paolo Orsini nel 1406, per poi essere acquisito dal Vaticano.
Papa Pio II Piccolomini vi ebbe i prodromi della sua morte.
Si era imbarcato a Ponte Milvio il 18 giugno 1464 per raggiungere via fiume Narni, e proseguire per Spoleto fino ad Ancona, dove avrebbe assunto il comando della flotta diretta alla Crociata contro i Turchi.
Ma proprio all'altezza di Castel Giubileo dovette fermarsi, in preda al male che lo avrebbe ucciso due mesi dopo.
In tempi moderni vi avvenne un disastro ferroviario che fece epoca.
Alle ore 23:25 del 12 agosto 1900 era partito da Roma Termini il treno diretto a Firenze, con a bordo le delegazioni reali che avevano presenziato ai funerali del re Umberto I e all'incoronazione di Vittorio Emanuele III.
Per un guasto ai freni il treno si era fermato alla stazione di Castel Giubileo, ma per cause sfortunate la sua sosta non fu segnalata al treno che sopraggiungeva pochi minuti dopo, e che lo investì in pieno, sventrando i vagoni di coda.
La tragica scena notturna vide il Granduca Pietro di Russia, rimasto illeso, che prestava soccorsi insieme a nobili e ufficiali, e addirittura l'arrivo del nuovo Re con la consorte e vari generali che restarono in loco fino alla fine del recupero delle vittime, almeno venti morti e centinaia di feriti.
Ciò indusse a cambiare il nome della stazione da Giubileo in Settebagni.
Veniamo agli anni della II guerra. Il 19 luglio del 1943 gli aerei alleati, per "liberarci", avevano bombardato tutta la zona Roma Nord, da ponte Salario verso lo scalo ferroviario e l'aeroporto del Littorio, causando devastazione e strage, almeno 200 morti.
Tutto distrutto, compreso il ponte di ferro di Castel Giubileo che dal 1892 era l'unico collegamento tra le due rive, da Ponte Milvio fino a Civita Castellana.
Oggi se ne possono vedere i resti: il moncone appoggiato alla sponda sinistra e ai primi due piloni, dalla parte della Salaria, e la vecchia conduttura dell'acqua che, sospesa, ancora attraversa il Fiume.
Il progetto del ponte era stato approvato dal Comune nel 1888 e l'edificazione era avvenuta nel 1892.
Consisteva in un sistema a tre campate in ferro sostenute da pile tubolari e da spalle in muratura, per una larghezza di 10 metri, sette di carreggiata fra le travate e tre per i marciapiedi esterni di m. 1,50 ciascuno, che avrebbero permesso ai pedoni di attraversare in tranquillità nel caso, allora frequente, di passaggio di mandrie. Indispensabile per collegare le borgate della Salaria e della Flaminia, durante la guerra era servito anche agli occupanti tedeschi per trasferire truppe motorizzate.
Dopo il bombardamento, i tedeschi lo avevano rimpiazzato con un ponte di barche, anch'esso distrutto dalle incursioni aeree che durarono fino al giugno 1944.
Poi arrivarono gli americani, che nel 1947 lo sostituirono con una passerella in legno, ignari del carattere
del nostro Fiume, che naturalmente la buttò giù alla prima piena.
Siamo ora agli anni Cinquanta del '900.
In città, di esondazioni del Fiume, ormai imbrigliato e incatenato coi Muraglioni, si era perso il ricordo.
Però l'ondata di piena che si abbatteva non di rado su ponte Milvio provocava allagamenti anche gravi in tutta la zona periferica settentrionale, dalla confluenza con l'Aniene fino a Castel Giubileo e Settebagni, a Labaro e Prima Porta.
Così, per la prima volta nella sua storia, si decise di... "chiudere" il Fiume.
Si cominciò con la Traversa di Castel Giubileo, progettata nel 1948 da un geniale architetto, Gaetano Minnucci, fondatore del Movimento Italiano per l'Architettura Razionale.
Impropriamente chiamata diga, in quanto non superava l'altezza minima di 15 metri previsti per averne titolo, con le sue paratie mobili bloccava il corso del Tevere nove metri più in alto.
Aveva richiesto tecniche di costruzione complesse, con cassoni stagni affondati dove lavoravano operai calati attraverso cilindri e assistiti da una ventilazione forzata di ossigeno.
Si trattava di un complesso grandioso di vetro, acciaio e calcestruzzo, che conteneva una centrale elettrica con giganteschi impianti idraulici ed elettromeccanici tutti di fabbricazione italiana.
Lunga 92 metri comprese le quattro paratie mobili, creava un bacino artificiale lungo circa 42 km, largo da 100 a 200 m., e profondo fino a nove metri.
Fu inaugurata con grande cerimoniale dal Presidente Einaudi con la sua signora, contornati da ministri, politici, militari, prelati, scolaresche. Si trattava di un evento spettacolare: per la prima volta si utilizzava la forza delle acque del Tevere per produrre energia elettrica.
Quando Einaudi azionò l'interruttore, il pubblico ancora incredulo vide accendersi le lampade, che illuminavano tutta la zona, quartieri e borgate circostanti: dodicimila famiglie avevano la luce dal Fiume.
Con la sua entrata in funzione, la traversa avrebbe migliorato sensibilmente la situazione delle alluvioni nel circondario.
Ma non era finita lì: quel Venerdì 12 gennaio 1951 la piccola folla di abitanti delle borgate di Labaro, Prima Porta, Fidene che assisteva all'inaugurazione radunata sul nuovo ponte, poté finalmente passare di nuovo sull'altra sponda.
Ai primi del nuovo millennio vi avvenne un episodio sfortunato: l'incidente del 14 gennaio 2003, quando furono aperte le paratie della Traversa per soccorrere un sommozzatore rimasto intrappolato nelle griglie e un Vigile del Fuoco, Simone Renoglio, poi decorato con la Medaglia d'Oro al Valor Civile alla Memoria, perse la vita nel salvarlo.
Nell'occasione si ebbe la dimostrazione di cosa significhi svuotare un bacino di tale lunghezza scaricando improvvisamente milioni di metri cubi di acqua a valle: nella zona a monte si verificò un disastro ecologico per il collasso delle sponde con la distruzione dell'habitat naturale avicolo, faunistico, ittico, ma anche a valle furono provocati danni ingentissimi alle strutture di ogni genere.






















