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Riforme: Condominio e Professioni

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La posizione del singolo condòmino dopo la riforma della disciplina del 2012

Le democrazie di tipo partecipativo sono da sempre costrette a fare i conti con problemi di equilibrio tra i poteri da attribuire agli organi cui è conferita la funzione deliberativa e quelli da far esercitare al singolo individuo


È evidente che un eccessivo potere affidato nelle mani del singolo potrebbe snaturare l’essenza stessa della democrazia partecipativa, mentre viceversa l’esclusione totale del cittadino darebbe luogo ad una forma di indebolimento individuale e di remissione di ogni potere agli organi elettivi.

Il sistema giuridico condominiale si manifesta proprio con la struttura tipica della democrazia partecipativa, con una netta separazione dei poteri: la funzione deliberativa è esercitata dall’assemblea dei condòmini, quella esecutiva è attribuita all’amministratore. Il legislatore del 1942 ha ritenuto necessario concedere ai condòmini uti singuli, al di fuori cioè dell’ambito assembleare, importanti poteri e conferire rilevanza ad atti individuali che possono influenzare, a volte in maniera rilevante, la vita condominiale.

In altre parole, il codice civile da un lato ha sancito la centralità dell’ assemblea e dell’amministratore (organi rispettivamente deliberativo ed esecutivo), dall’altro ha conferito un rilievo alla posizione del singolo condòmino sotto alcuni fondamentali aspetti. Anche la riforma della disciplina condominiale, approvata con la legge n. 220 dell’11 dicembre 2012, si è posta il problema di verificare la posizione del condòmino e di calibrare l’entità e la natura dei poteri da attribuire a quest’ultimo in quanto singolo, al di fuori cioè delle ipotesi di intervento collettivo, in relazione alla compagine condominiale. Queste brevi note sono dedicate all’esame di alcune norme sul ruolo del singolo partecipante i cui poteri sono stati rafforzati, con dubbi vantaggi a mio avviso per la gestione del condominio, dalla nuova disciplina condominiale che entrerà in vigore il 18 giugno 2013. L’art.1130 c.c., come modificato dall’art.10 della riforma, al punto 9 prevede, tra le attribuzioni dell’amministratore, quella di “fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso”.

Siamo, dunque, in presenza di un fondamentale diritto, attribuito al singolo condòmino (e di un corrispondente vero e proprio obbligo dell’amministratore, quantunque il titolo della norma parli solo di “attribuzioni dell’amministratore”), di chiedere e di ottenere informazioni estremamente rilevanti in merito alla condizione economica del condominio e degli altri condòmini ed alla situazione delle cause in corso.

Vanno subito evidenziate due cose.

Il legislatore della riforma ha inteso intervenire in un campo decisamente delicato, in quanto le informazioni che il singolo ha diritto di chiedere e di ricevere attengono ad aspetti fondamentali, soprattutto sotto il profilo della tutela della privacy, relativamente agli altri condòmini.

La nuova disposizione dell’art.1130 c.c. si muove tuttavia nel solco segnato dalla ormai univoca giurisprudenza della Cassazione, che ha sancito in maniera ferma “il diritto di ciascun condomino di conoscere, anche su propria iniziativa, gli inadempimenti altrui nei confronti della collettività condominiale(1)

La giurisprudenza ha ritenuto, ed il legislatore della riforma ha seguito questa strada, che, mentre la pubblicizzazione (per esempio mediante affissione in una bacheca nell’androne condominiale) delle informazioni concernenti le posizioni di debito del singolo partecipante al condominio, non è consentita, poiché si risolve nella messa a disposizione di un dato sensibile a favore di una serie in- determinata di persone estranee al condominio e rappresenta pertanto una diffusione illecita e fonte di responsabilità civile, è viceversa legittimo (anzi addirittura doveroso) fornire tale informazione al condòmino che ne faccia richiesta, cui dunque è riconosciuto il diritto di essere messo al corrente della posizione degli altri partecipanti in materia di debiti verso il condominio. Dunque, mentre non è consentito esporre alcuna informazione all’ attenzione indiscriminata di soggetti estranei, in linea con la normativa che tutela i dati personali e sensibili (2), si è ritenuto non lesiva dei principi di pertinenza e di non eccedenza la comunicazione, limitata ai singoli condòmini e circoscritta quindi all’ambito condominiale, delle notizie relative ad altri partecipanti, anche di quelle attinenti alla posizione economica in seno alla compagine.

Il nuovo art.1130 c.c. si pone dunque sulla scia della giurisprudenza in materia di diritto all’informazione del condòmino, ma aggiunge qualcosa di più, diremmo, grave.

Ed infatti l’art.9 della legge n. 220/2012, in modifica dell’art.1129 c.c., introduce all’undicesimo comma nuove ipotesi di “revoca dell’amministratore ... in caso di gravi irregolarità”, tra le quali trova significativamente posto al n. 7 “l’inottemperanza agli obblighi di cui all’articolo 1130, numeri 6), 7) e 9)”.

Dunque, con disposizione sulla cui opportunità è lecito dubitare (o quanto meno discutere), la riforma non solo ha previsto il diritto del singolo condòmino (ed il correlativo dovere dell’amministratore) di chiedere ed ottenere notizie sullo stato dei pagamenti degli oneri condominiali, ma ha sancito espressamente che l’inosservanza di tale obbligo sia considerata “grave irregolarità” e, come tale, causa di revoca dell’amministratore.

Visti tali gravissimi effetti, sarebbe stato opportuno prevedere una regolamentazione più rispettosa anche della posizione dell’amministratore ed una più articolata procedura di rilascio dell’attestazione relativa allo stato dei pagamenti, onde evitare che la richiesta di un condòmino, magari maliziosamente accompagnata dalla concessione di un termine non congruo, possa autorizzare il singolo, in mancanza di un pronto riscontro da parte dell’amministratore, a richiedere sic et simpliciter un provvedimento sanzionatorio decisamente sproporzionato rispetto alla violazione perpetrata.

Ma l’intervento della riforma sul tema dei poteri attribuiti al singolo, a mio avviso, più pregnante e purtroppo di più problematica interpretazione è quello dell’art.3 della Legge 220/2012 che ha sostituito l’art.1118 c.c. (Diritti dei partecipanti sulle parti comuni), il cui quarto comma, per quanto qui interessa, dispone che “il condòmino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini”.

La prima osservazione da fare, leggendo la lettera della norma, attiene al diritto, in verità piuttosto singolare, che la riforma attribuisce al singolo condòmino, il quale sembra avere la possibilità di provocare impunemente agli altri “squilibri di funzionamento” dell’impianto purché gli stessi non siano “notevoli”. In altre parole il condòmino può legittimamente rinunciare ad usufruire del servizio di riscaldamento centralizzato e staccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune se dimostra che dal suo distacco non derivino per gli altri “notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa”.

Immaginiamo che i tecnici di fiducia dei singoli condòmini che intendono rinunciare al servizio centralizzato di riscaldamento si profonderanno nei più svariati dettagli tecnici per spiegare al condominio che, dal distacco del loro cliente, deriva sì uno squilibrio, ma non “notevole”. È di tutta evidenza che la lettera del quarto comma del nuovo art.1118 c.c. non brilla per chiarezza e le difficoltà interpretative contribuiranno presumibilmente ad ingrossare le fila dei contenziosi in materia condominiale: ed invero, quando la riforma attribuisce un diritto a rinunciare all’ impianto centralizzato al condòmino che dimostri che dal distacco non derivino “notevoli” squilibri di funzionamento, fa riferimento ad un profilo quantitativo degli squilibri che impediscono il distacco, profilo evidentemente non oggettivo, anzi identificato mediante un aggettivo (“notevoli”) in base al quale i tecnici potranno dire una cosa ed anche il suo contrario e su cui è legittimo prevedere la nascita di numerose controversie.

In linea generale la norma sembra prevedere una fattispecie del tutto irrealizzabile sul piano pratico, in quanto nessun tecnico potrebbe attestare che un impianto centralizzato di riscaldamento, tarato per un determinato numero di unità immobiliari, funzioni senza squilibri in presenza di qualche distacco, fosse anche di un solo condòmino. Il punto nodale è dunque l’utilizzo dell’aggettivo “notevoli”, che presuppone una buona dose di discrezionalità ed è, come tale, destinato a dare origine a problematiche legate all’individuazione della soglia al di sopra della quale gli squilibri debbano essere considerati appunto come “notevoli“.

Ma non basta. Per completezza va evidenziato come la norma in questione, riformata dalla legge del 2012, prevede un ulteriore requisito necessario per consentire al singolo condòmino di imporre agli altri il suo distacco dall’impianto centralizzato: l’assenza di aggravi di spesa per gli altri condòmini.

Come si può facilmente comprendere è di fatto impossibile che dal distacco di un condòmino non consegua un aumento del costo del servizio per gli altri che continuano ad usufruire dell’impianto centralizzato e che si vedranno gravati (almeno in parte) anche della quota del condòmino che chiede di distaccarsi. Questo per dire che, a mio avviso, con l’entrata in vigore della riforma, il distacco dall’impianto centralizzato non sarà così semplice come è stato evidenziato nei primi commenti e potrebbe non comportare un totale esonero da contributi di gestione ordinaria per il rinunciante, in quanto il requisito del mancato aggravio di spesa per gli altri condòmini può essere rispettato probabilmente solo con un contributo posto a carico del rinunciante stesso.

Anche sul punto, si può dire che il legislatore ha recepito i risultati di anni di interventi giurisprudenziali in materia di distacco, ma a mio avviso le pronunce della Suprema Corte non sono state armonizzate con la disciplina nazionale ed europea (3) .

Altro profilo in cui la riforma ha inteso intervenire nell’ambito della posizione del singolo condòmino, per rafforzare e gratificare le sue attività gestionali, attiene alla convocazione dell‘assemblea.

L’art. 5 della legge n. 220/2012 ha inserito ulteriori capoversi dopo il primo comma dell’articolo 1120 codice civile: il nuovo terzo comma dispone che “l’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma”, quelle cioè attinenti ad opere ed interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti, all’eliminazione di barriere architettoniche, al contenimento del consumo energetico degli edifici, alla realizzazione di parcheggi, alla produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili ed infine all’ installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo.

Dunque, per le delibere di innovazioni in determinate materie, la riforma del 2012 attribuisce ad un solo condòmino il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea.

Sin dal codice del 1942 è stata sempre avvertita dal legislatore l’esigenza di conferire un ruolo gestionale all’iniziativa personale dei condòmini, ma nella norma in questione ci sembra che l’attribuzione di un diritto di richiedere la convocazione anche ad un solo partecipante, sia pure imponendo di corredare l’istanza con “l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti”, possa pregiudicare il normale svolgimento della vita condominiale e si presti a possibili abusi.

Nella disciplina pre-riforma (vigente fino a giugno 2013), vi è una norma che prevede il diritto del singolo di chiedere la convocazione in via straordinaria dell’assemblea, il primo comma dell’art. 66 delle disposizioni di attuazione c.c. (rimasto immutato dopo la riforma), che pone tuttavia un fondamentale limite quantitativo, attribuendo tale diritto “ad almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio”.

Nella nuova versione dell’art.1120 c.c., non è chiara l’articolazione della procedura di convocazione prevista, non è chiaro in particolare cosa succede nel caso in cui, a seguito di una richiesta formulata dal singolo condòmino, l’amministratore non adempia: manca nella riforma una procedura che preveda una forma di convocazione diretta, sulla falsa riga di quanto stabilito nel primo comma dell’art.66 disposizioni di attuazione, nel caso di inadempimento dell’amministratore e dell’inutile decorso di dieci giorni dalla richiesta. Siamo dunque in presenza di una normativa singolare, che, se da un lato prevede un eccessivo sbilanciamento in favore dei poteri del singolo condòmino (addirittura anche di uno solo), dall’altro non gli attribuisce un’effettiva e concreta possibilità di far fronte direttamente, in caso di inadempimento dell’amministratore, alla convocazione dell’Assemblea.

 

(1) Così l’ordinanza emessa dalla Seconda Sezione Civile della Suprema Corte il 4 gennaio 2011 n° 186, pubblicata in Danno e resp., 2011, pagine 131 e seguenti.

(2) Il Provvedimento del Garante del 18 maggio 2006 (pubblicato in G.U, n° 152 del 3 luglio 2006) ritiene trattamento illecito (in violazione del principio di proporzionalità) “ la diffusione di dati personali effettuata mediante l’affissione di avvisi di mora (o, comunque, di sollecitazioni di pagamento) in spazi condominali accessibili al pubblico ” e precisa i compiti dell’amministratore in relazione al trattamento delle informazioni inerenti la gestione e l’amministrazione delle parti comuni.

(3) Pensiamo in particolare al Decreto Legislativo 29 dicembre 2006 n. 311 (attuativo di direttive europee) ed al D.P.R. 2 aprile 2009 n. 59.

 


di Antonino Spinoso - Copyright ©

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