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Il cavallo d'oro

Tra i monumenti straordinari di Roma non dimentichiamo la piazza unica al mondo del Campidoglio con la statua che vi troneggia da secoli


Statua equestre che oltre alla bellezza e al valore storico, porta con sé tradizioni, leggende e superstizioni che spesso i turisti conoscono meglio dei romani, abituati a vederla lì da sempre.

In realtà solo dal 1539, quando Michelangelo, compiuta l'opera eccezionale di ristrutturazione della piazza del Campidoglio rivolgendone l'ingresso al Campo Marzio invece che al Foro e disegnandone la struttura del pavimento con la sua geniale creatività, fece sistemare la statua proprio nel centro, posizione ideale per il suo significato e il suo splendore.
Ricordiamo che in antichità la piazza, detta inter duo lucos perché compresa tra due boschetti che occupavano due alture (intermontium), prendeva il nome dal ritrovamento di una testa (caput) attribuita al guerriero etrusco Aulus, ed era detta anche asylum perché ospitava chiunque vi cercasse rifugio.

Ora ospita invece un cavallo e un cavaliere di bronzo ricoperti d'oro, quell'oro che ora è consunto ma, secondo la leggenda, riapparirà segnando la fine di Roma (che già dovrebbe essere condannata quando crollerà il Colosseo!).
Ma i Romani e i turisti aspettano fiduciosi perché sanno che Marco Aurelio, proprio lui, l'imperatore immortalato a cavallo, non li tradirà.

L'imponente monumento bronzeo, datato circa al 176, avrebbe potuto nei secoli essere distrutto e fuso, sia per questioni religiose che per ottenerne armi.
Si salvò solo perché i prudenti custodi del luogo dove era stato sistemato, dopo lo spostamento prima dal Celio, dai Giardini di Marco Aurelio, poi nel Foro Romano, infine di fronte al Battistero lateranense, lo spacciarono per una statua eretta a celebrazione di Costantino, considerato l'eroe del Cristianesimo.
Secondo altre leggende, invece, rappresentava un temerario che aveva salvato l'Urbe dall'assedio di un imperatore d'Oriente.

Pare che il protagonista fosse un contadino che era divenuto condottiero dei romani offrendo di salvarli dal re nemico in cambio di un mucchio di sesterzi e dell'erezione di una statua in suo onore.
Lo aveva fatto davvero, seguendo il re che di notte si recava da solo nella foresta annunciato dallo stridio di una civetta ammaliatrice: lo aveva catturato offrendone la testa ai consoli, con il volatile appollaiato sulla criniera del cavallo, a perenne ricordo, e minaccia, della vanità delle cose umane.
E la leggenda aggiunge che, quando la civetta canterà, segnerà lugubremente (anche lei!) la fine della civiltà romana.
Insomma, il cavaliere, identificato in seguito per Marco Aurelio, troneggia maestoso sul suo cavallo con fare benevolo: non porta armi e ha un atteggiamento di pacifico dominio.
C'è chi afferma che la mano destra alzata significasse un atto di clemenza verso un nemico vinto che doveva trovarsi tra le zampe del cavallo (ma non ne è stata trovata traccia) o che mostrasse la testa del re sconfitto, o recasse solo un messaggio diretto al popolo.

Fatto sta che il ciuffo della criniera tra le orecchie del cavallo assomiglia indiscutibilmente alla famosa civetta.
Il suo rivestimento d'oro avrebbe attratto i vari invasori della città, mentre si trovava in bella vista di fronte alla basilica di san Giovanni, ma in quel periodo fu saggiamente ricoperto di vernice nera.
Fu simbolo comunque del potere: servì per esporvi, appeso per i capelli, il prefetto di Roma Giovanni per ordine di papa Giovanni XIII intorno al 970, poi per accogliere il cadavere dell'antipapa Bonifacio VII nel 985, ma servì anche a Cola di Rienzo nel 1347 per festeggiare la cacciata degli Orsini, facendo versare acqua e vino da distribuire al popolo da due condotti inseriti nelle narici del cavallo.

Fu papa Paolo III Farnese, edificata la piazza nel 1538, a volervi la statua equestre, al centro dell'avveniristico disegno stellare di Michelangelo, che sarà perfezionato solo nel 1940 da Antonio Munoz, Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti.
La statua, tra le altre vicissitudini, era stata restaurata nel 1466 da Paolo II Barbo, poi dall'archeologo Carlo Fea che nel 1834, accortosi che all'interno vi gracidavano delle rane, la fece vuotare dall'acqua infiltratasi riparandone le corrosioni e rinforzandone i sostegni delle zampe.

Un altro restauro fu effettuato nel 1912, e quello definitivo ebbe inizio nel 1981, dopo i danni subiti nel 1979 dall'attentato dinamitardo destinato al palazzo Senatorio.
Operato dal l'Istituto Centrale per il Restauro, si concluse alla fine del 1988, dopodiché fu deciso di non esporre più all'esterno la statua, sostituendola con una riproduzione.

L'11 aprile 1990 il monumento è tornato in Campidoglio ed è stato collocato nel cortile del Museo Capitolino, chiuso da una vetrata in un ambiente climatizzato.
Ma i romani e i turisti pretendevano che la statua tornasse al suo posto, e per eseguirne una copia si è effettuata la ricostruzione della forma mediante complesse procedure scientifiche e artigianali.

Il 19 aprile del 1997 la riproduzione bronzea realizzata dai tecnici della Zecca dello Stato è stata eretta di nuovo sul basamento al centro della piazza.
L'originale è stato collocato in luogo più consono, nel nuovo padiglione dei Musei Capitolini, nel Giardino Romano al primo piano del Palazzo dei Conservatori, coperto da una grande vetrata progettata dall'architetto Carlo Aymonino.

E siamo arrivati al nuovo secolo e al nuovo millennio senza che la civetta abbia cantato, né che la doratura della statua sia riapparsa a segnalare la fine di Roma e, quindi, del mondo.


Sandro Bari, Direttore Rivista "Voce romana" © Riproduzione riservata
Dossier condominio 197/2023