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Una Torre... fuori sede

La via Flaminia antica era contornata da monumenti funebri, come d'uso in epoca romana, in particolare nel periodo imperiale


La via Flaminia antica era contornata da monumenti funebri, come d’uso in epoca romana, in particolare nel periodo imperiale.
Ritrovamenti avvengono periodicamente anche tuttora: spesso, nonostante l’eccezionalità delle strutture e dei contenuti, vengono ricoperti, come è accaduto di recente a poche decine di metri da Ponte Milvio.
Altre volte vengono conservati e recintati, e quindi abbandonati, come tra Tor di Quinto e Saxa Rubra (si salva, per fortuna la bellissima tomba dei Nasonii, visitabile in via Flaminia 961).

A proposito di Tor di Quinto, esiste un viale, esiste un quartiere, ma manca la torre che dà origine al toponimo.
Ne restano solo ruderi poco accessibili sulla collinetta prospiciente il Tevere, al V miglio di distanza dall’Arce Capitolina (dove si trovava probabilmente la Porta Ratumena) e da ciò deriverebbe il nome, che non avrebbe attinenza con i vari personaggi storicamente coinvolti nella località, come Tito Quinzio Cincinnato, che vi coltivava i suoi campi, o Quinto Nasonio titolare della tomba omonima.

Nelle carte e nelle piante si parla di un Mausoleo esistente nella zona, ma in effetti invisibile, in quanto i suoi resti sono compresi nel territorio occupato dai Lancieri di Montebello e dall’ippodromo militare, per visitare il quale occorrono permessi speciali che non siamo riusciti ad ottenere.
Ma lo stesso Mausoleo esiste sulla via Nomentana. Come spiegarlo?
I reperti archeologici hanno sempre fatto una brutta fine: ogni oggetto marmoreo veniva calcinato nelle fornaci finché papa Adriano VI (1522) ne vietò il prelievo all’interno dell’Urbe: in tal modo i “calcatari” e i tombaroli si rivolsero a spogliare e saccheggiare le ville e le tombe suburbane, cosa ben più facile che non andare a scavare sui monti vicini.

L’uso restò in voga anche dopo l’Unità fino alla fine dell’800 e solo la serietà di alcuni funzionari governativi impedì la totale distruzione dei nostri reperti archeologici, cosa che si riuscì a fermare solo con la prima disposizione legislativa del Regno d’Italia dedicata ai beni culturali (L. n.185/1902 sulla tutela del patrimonio monumentale) detta “Legge Nasi” dal nome del Ministro della Pubblica Istruzione in carica, che introduceva il diritto di prelazione da parte dello Stato e il divieto d’esportazione di opere artistiche e storiche.

Prima di ciò, dobbiamo solo a personaggi seri e appassionati come l’archeologo Giacomo Boni, e all’autorità conferitagli da ministri illuminati come Paolo Boselli e come Guido Baccelli, se parte del nostro patrimonio si è salvata.
Boni ebbe tra l’altro l’incarico dal ministro degli Esteri, “amico esigente e sensibile”, barone Alberto de Blanc, di arredare la sua villetta sulla via Nomentana, poco oltre la Basilica di Sant’Agnese.

Si era nel 1895 circa, il Boni aveva visto la rovina di un sepolcro sulla Flaminia che correva accanto al Tevere, originariamente edificato a “pianta gemini” (due cilindri gemelli rivestiti in marmo che insistevano su un basamento parallelepipedo in calcestruzzo) che era ridotto a un cumulo di detriti, essendo stati venduti o depredati la maggior parte degli elementi marmorei. I preziosi resti salvati, sempre di proprietà del titolare del fondo, erano destinati ad essere dispersi nel mercato antiquario o all’abbandono, in quanto il Museo Nazionale Romano non disponeva dei fondi necessari per acquistarli.
Il Boni ne propose allora l’acquisto al Blanc, al fine di ricostruire uno dei due cilindri con i materiali rimasti, spostandolo all’interno della sua villa.
In tal modo Villa Blanc fu abbellita da questo monumento, ricostruito su un podio cubico di tufo e mattoni, con il cilindro ricomposto dai marmi recuperati e integrato da mattoni rossi ove carenti.

Il bel parco della villa, antesignana del Liberty, ebbe così il suo Mausoleo di Tor di Quinto, che spiccava nel verde, alto circa 10 metri col basamento, e conservava in alto alcuni fregi di coronamento in marmo risalenti al I o II secolo.

Negli anni ’60 del ‘900, il Comune di Roma decise la modifica al tracciato della via Nomentana, con un allargamento della sede stradale che comportò l’esproprio di un tratto del parco di Villa Blanc e l’abbattimento e l’arretramento del muro di cinta, lasciando all’esterno il Mausoleo.

La Torre restò così isolata in un’aiuola circondata dal traffico, ignorata dal pubblico che la riteneva un vecchio serbatoio.
Oggi si trova seminascosta tra gli alberi nel divisorio con la corsia laterale, adibita a parcheggio e pista ciclabile (che quasi nessuno utilizza), esposto al peggior inquinamento.
Eppure il monumento riveste una notevole importanza, ed è anche stata avanzata l’ipotesi che potesse trattarsi di mausoleo dedicato al poeta Publio Ovidio Nasone, il quale possedeva una grande villa fuori città, sotto l’attuale collina Fleming, sulla via Flaminia vecchia dove ne sono stati ritrovati i resti.

Un folto comitato di cittadini della XX Circoscrizione, ora XV Municipio, ha chiesto ripetutamente che il Mausoleo di Tor di Quinto, stante la disgraziata posizione in cui si trova attualmente, venga restituito al suo luogo d’origine, e in effetti avrebbe ottima collocazione nell’omonimo Parco da poco costituito.
Inutile dire che le ripetute istanze non hanno mai avuto alcun esito, nonostante fossero documentate e appoggiate da insigni studiosi come l’archeologo Gaetano Messineo, il maggior competente del territorio, al quale dobbiamo scoperte e salvataggi altrimenti impossibili.
Messineo, scomparso nel 2010, funzionario della Soprintendenza Archeologica di Roma, fu ricordato da Italia Nostra come “Uomo colto e di straordinaria intelligenza, venuto dalla Sicilia per insegnare ai romani quale sia il ruolo di un grande pubblico funzionario al servizio dello Stato”.
Anche lui fa parte dello stuolo di personaggi illustri, competenti, colti, appassionati, che furono custodi e coltivatori del nostro patrimonio culturale e che oggi rimpiangiamo.


Sandro Bari, Direttore Rivista "Voce romana" © Riproduzione riservata
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