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Notizie utili per l'Amministratore di Condominio
Un articolo imprevisto... come un Virus
Sarò costretto ad interrompere la sequenza dei racconti relativi alla conquista di Roma per l'unificazione, in quanto l'avvenimento principe di questo periodo attiene alla pandemia da virus che ci sta cambiando la vita, le abitudini, forse l'avvenire.
E che speriamo si concluda presto, come peraltro già avvenuto molte volte in passato.
Di avvenimenti del genere ne abbiamo a dovizia: per i pigri, basterà condurre qualche ricerca su internet per averne tutte le notizie relative, che perciò mi asterrò dall'elencare.
Mi limiterò a un breve elenco dei malanni che hanno afflitto Roma, epidemici e non.
La prima notizia certa ci viene dalla incursione del Galli, i quali nel 390 a.C., dopo aver sbaragliato le impreparate truppe romane nella battaglia sul fiume Allia arrivarono ad accamparsi sotto al Campidoglio e presero d'assedio la Rocca dove i superstiti impavidi resistevano.
La strage compiuta, la putrefazione dei cadaveri, la carenza di alimentazione causarono tra gli assedianti una infezione che i Romani chiamarono pestis, e da allora ogni malanno di tal genere, dovuto a focolai, microbi, batteri, virus, e come tale contagioso, venne definito generalmente pestilenza.
Proprio l'estensione dei domini romani, gli spostamenti di grandi masse di truppe in terre straniere, le invasioni di eserciti barbarici, portarono ciclicamente pestilenze che si diffondevano per infezione e per contagio.
Nel 165 si verificò una pandemia, detta peste antonina, importata dalle truppe romane durante la campagna contro i Parti, che il medico Galeno definì probabilmente di vaiolo o di morbillo.
Prese il nome dall'imperatore Marco Aurelio Antonino e causò, tra un focolaio e l'altro, nel corso di trent'anni, diversi milioni di morti. Sembra che intorno al 175, solo a Roma ci fossero duemila morti al giorno.
Abbiamo testimonianze dagli storici (Dione Cassio, Tito Livio, Ammiano Marcellino ecc.) e veniamo quindi a sapere che tra il 250 e il 270 vi fu la peste di Cipriano (probabilmente morbillo) e nel 459 ci fu un'altra terribile epidemia, ma questa volta dovuta probabilmente all'aria malsana (la malaria) e alle infezioni che ne derivavano sia per gli uomini che per gli animali.
Ricordiamo infatti che non solo il Tevere trasportava e scaricava di tutto, ma che il territorio intorno all'Urbe per miglia e miglia era un acquitrino mefitico.
Sempre per epidemie da infezioni si ebbero altri episodi nel 524, nonché la tragica pestilenza del 590 dovuta soprattutto ad una grave esondazione del fiume che lasciò carestia, morti, carogne, carcasse, miasmi ed esalazioni mortifere, e che si spense quando Papa Gregorio I detto Magno, il 29 agosto in processione ne implorò la fine e si vide l'Angelo di Castello rinfoderare la spada.
Nel 1348 venne importata dalla Cina la Peste Nera (immortalata nel Decamerone) che in cinque anni sterminò un terzo della popolazione europea per poi ricomparire saltuariamente. Sempre per le carenti condizioni igieniche si ebbero focolai di colera nel 1456 e nel 1522.
Ma la peste si riaffacciò dal Regno di Napoli nel 1656 e tramite i porti, Civitavecchia e Nettuno, arrivò a Roma dove papa Alessandro VII organizzò una operazione di contenimento simile a quella odierna, con clausure, quarantene, disinfestazioni, e riuscì a bloccare il contagio in nove mesi, cavandosela con soli 15mila morti.
Sorvoliamo sulla pestilenza provocata dai Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma nel 1527, dannefice più per le razzie, le ruberie e le stragi che per l'epidemia.
Mentre i progressi della scienza avevano portato alla prima vaccinazione antivaiolosa, promossa dal card. Consalvi nel 1822, nel 1837 ritornava il colera, immortalato dal famoso sonetto del Belli: esploso a luglio, provocò circa settemila morti e scomparve dopo tre mesi grazie anche alle misure drastiche e ai severi controlli dell'autorità papale.
Altre epidemie di colera si ebbero nel 1854, nel 1859, nel 1868, nel 1874, nel 1887.
Nel frattempo, già nel 1884 si era dato il via alle prime bonifiche dell'Agro Romano contro la malaria.
La prima documentata pandemia esplode nel 1918, u'influenza virale portata forse dalle truppe americane venute in Europa a combattere.
Nessuno ha una cifra esatta dei morti, ma potrebbero essere stati anche 100 milioni nel mondo.
La chiamano "Spagnola", anche se la Spagna, neutrale nel conflitto, non ha alcuna responsabilità della sua diffusione.
In Italia e a Roma in particolare viene sottaciuta la sua gravità per non influire negativamente sul clima entusiastico della Vittoria appena conquistata.
Nel giro di due anni si porterà via in Italia almeno mezzo milione di vittime.
La lotta a questi tipi di malattie ha una svolta definitiva nel 1936, quando viene inaugurato un ospedale modello dedicato alla cura, allo studio e alla prevenzione: lo Spallanzani di Roma.
È un modello virtuoso di progresso scientifico e sociale: su 134.000 mq si estendono 15 padiglioni con quasi 300 posti letto.
Da allora arriviamo al Covid 19 di oggi.
Se ne può leggere di tutto e di più: di plauso per i provvedimenti adottati allo scopo di contenerlo, di inadempienze, di inefficienze.
Non ne farò commenti, se non che in questo convulso frangente si è esplicitata tutta l'impreparazione culturale e sociale di una classe politica infantile e di una dirigenza medica litigiosa.
Sugli interessi degli speculatori, politici ed economici, ogni lettore avrà il suo parere.
Sugli affari delle multinazionali, mediche, bancarie, petrolifere, informatiche, credo che ognuno avrà sotto gli occhi le informazioni adatte per farsene un concetto.
A qualcuno, indubbiamente, questa pandemia, drammatica forse più per il disastro economico e sociale che non per il numero (volutamente) imprecisato dei decessi, sta facendo comodo, e poco importano le perdite umane.
Auguriamoci solo che con la buona volontà di ciascuno di noi e con l'indispensabile aiuto della nostra capacità di reazione e di adattamento, col sacrificio di tanti e con parecchia fortuna, potremo uscirne al più presto.