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San Giuseppe
Pasqua a Roma
Abbiamo recentemente citato il Natale col suo pranzo (ancora i soloni della comunità europea e i professoroni dell'alimentazione non ce lo hanno vietato); ecco approssimarsi San Giuseppe e Pasqua.
I Romani di una volta, anche se tiravano la cinghia tutto l'anno, erano disposti a far debiti pur di celebrare con opulenza alcune festività.
Il Cracas, Diario di Roma del 18 marzo 1894, ci ricorda come «...i friggitori, che non ignorano con quanta passione i Romani festeggiano S. Giuseppe divorando frittelle, fanno a gara per allettare i divoti, sfoggiano gran pompa addobbandosi, inghirlandandosi, e nel giorno del Santo, divengono specialisti, cioè principalmente frittellari.
Ai 19 di Marzo, e tutta l'ottava seguente, friggitori a migliaia sui cantoni delle strade non spacciavano che frittelle, bignè e cavolfiore dorato. [...] I friggitori sulle pubbliche piazze, occupando con libera licenza i posti più cospicui, circondavano i loro banchi d'arboscelli di mortella e lauro piantati nel selciato; al fogliame appendevano ghirlande di fiori, di nastri, e gl'inevitabili Sonetti in onore di S. Giuseppe, [...] drappeggiandoli con tende, e ricaschi di mussola rossa, gialla, verde, turchina, trinata d'oro e d'argento, festoni e borchie lucenti.
Le padelle sono contro il solito, in quel giorno forbitissime; la padrona del banco fa spese straordinarie a sfoggio di abbigliamento per mostrarsi quanto mai può galante. Il marito [...] si acconcia il capo con un berretto bianco di finissimo lino inamidato guarnito di ciuffi, e di nastri scuri cadenti (e talvolta penne di cappone, come trofeo di cucina) sulla fronte [...]. Le frittelle, le bignè d'oro fumanti riempiono piramidalmente, come altrettanti trofei, enormi piatti; intorno ai quali sono aggruppati vasi di fiori.
Di notte s'illuminano le baracche con fiaccole sovra aste di legno e di ferro, e sospendonsi agli arboscelli degli specchi, che riflettono le fiammelle dei lumi, e il bagliore delle faci.
L'occhio esulta, il naso va in solletico, la gola in solluchero a tanto spettacolo.
Tra le Frittellerie, per cui tutta Roma era in fiera quei giorni, maggioreggiava su tutte, fino ai primi decenni del corrente secolo, quella della Rotonda.
Sì appunto; il banco più fastoso, anzi monumentale, quasi sfida a quel miracolo della grandezza romana, sorgeva tra piante arboree altissime, sgargiante di apparature, di bandiere, di festoni di lauro e di palloncini colorati avanti il gran Tempio...»
Ignoravano colesterolo o diabete, questi Romani.
E si stavano giusto preparando per la Pasqua in arrivo! Ma prima di pensare alla crapula (le uova sode dipinte, la corallina di carne di somaro, l'abbacchio al forno con patate o brodettato), c'era da rispettare la santità della celebrazione.
E si cominciava con la Domenica delle Palme.
Fino alla fine dell'Ottocento le Sacre Palme che si distribuivano ai romani nella Cappella Pontificia provenivano da Sanremo, dove venivano raccolte fin da gennaio, messe all'asta e vendute; quindi venivano suddivise in grandi mazzi da sessanta rami l'uno e spedite a Roma.
L'ultima parte del viaggio si svolgeva sui barconi lungo il Tevere, fino al porto di Ripa Grande, dove arrivavano una settimana prima della Domenica delle Palme.
Il "banderajo di Palazzo" era incaricato del trasporto e della confezione delle palme in "crocette" intrecciate che venivano poi appese ai semplici ramoscelli di ulivo distribuiti dopo la funzione.
Ecco di nuovo il Cracas del 13-20 aprile 1889: «Le Sacre Palme di Palazzo si custodiscono tutto l'anno, e disseccate si bruciano con solenne rito in Vaticano, a raccoglierne le ceneri che segneranno la fronte dei fedeli il dì delle Ceneri, quando il Memento homo fa rinsavire i Cristiani dopo le follie carnevalesche.»
E ancora ci informa che le palme e i ramoscelli di ulivo servono anche ad altri usi: si mettono a capo del letto e fuori delle finestre per tutelare la casa dalle folgori ed è questo l'unico parafulmine efficace, oltre all'usanza di suonare campane e campanelli fuori della finestra. Infatti: «Infuriando la tempesta, le pie donne, cavando un braccio fuori della finestra, agitano de' campanelluzzi stropicciati su la sagra scodella della Vergine, custodita nella S. Casa di Loreto.»
Ed eccoci al cerimoniale religioso, la Lavanda e la Cena di Giovedì Santo:
«Il Card. Diacono assistente prende un grembiale di cinque palmi di tela batista arricciata, ornata con 18 palmi di merletto, che vien legato alla cintola del Papa dall'altro Card. diacono assistente.
I sacerdoti, o almeno diaconi, detti gli Apostoli (in tutto 13, forse per comprendervi anche Giuda, surrogato poi da S. Mattia) stanno a sedere sopra banchi elevati, vestiti di lana fina bianca, con berrettoni a guisa di cappuccio in testa, che scende loro sopra le spalle, attorno al collo.
Gli Apostoli hanno il destro piede ignudo.
Il Papa, col grembiale bianco, preceduto dal sotto-Guardaroba in cappa rossa [...], sale sopra lo steccato, dove siedono i tredici.
II suddiacono, in tonicella bianca, sostiene a ciascuno degli Apostoli il destro piede ignudo a mano destra del Papa; uno scudiere, o Bussolante versa l'acqua in un bacile d'argento dorato.
Due altri bussolanti seguono il Papa con due bacili d'argento, uno dei quali contiene 13 sciugatoj, l'altro altrettanti mazzi di fiori freschi.
Il Papa genuflesso fa la lavanda e poi asciuga e bacia i piedi.
I mazzi de' fiori vengono dati dal Papa uno per uno ai 13 pellegrini; Mons. Tesoriere, che viene appresso in cappa e rocchetto, con una borsa di velluto cremisi fregiata d'oro, regala ad essi una medaglia d'oro ed una d'argento, portanti da un lato l'effigie del Papa e il millesimo del suo pontificato, nel rovescio la figura di Gesù Cristo, che lava i piedi a S. Pietro.
Poco dopo i 13 Apostoli sono condotti nella sala chiamata del Concistoro segreto, o del Soffitto dorato, ove trovasi imbandita una mensa lautissima; quindi Mons. Maestro di Camera cinge di zinale il Papa, che porge l'acqua a ciascuno di essi per lavarsi le mani, reggendosi il bacile dallo stesso monsignore; seduti che sono a mensa, il Papa stesso presenta loro una o più vivande, che in ginocchio gli sono somministrate da vari Prelati in rocchetto, e in mantelletta, porge loro una o due volte da bere, ed affetta anche il pane; finalmente, distribuita un'elemosina per ciascuno, si ritira.
Allora la calca degli spettatori invitati, patrizi illustri, nobili forestieri e dame, che a furia d'urti, spintoni e calpestature riuscirono con pena ad entrar nella sala, irrompono verso la tavola per prendere i fiori, che vi son sopra in vasi d'argento, e rapire qualche reliquia della mensa a cui ha servito il Papa.»
Questa era un'altra Roma... de 'na vorta!






















