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Notizie utili per l'Amministratore di Condominio

L'ultimo vicolo del quartiere

Il vicolo, termine dai molti significati tra i quali scegliamo "piccola via"


E' caratteristico dei Rioni di Roma, dove ancora ne esistono alcuni che stimolano la curiosità e la visita dei turisti, i quali si addentrano in viuzze buie e tortuose tra fabbricati vecchi se non fatiscenti, alla ricerca del folklore locale, che non troveranno più.

I Quartieri, invece, nati e cresciuti dopo l'Unità e con le nuove caratteristiche dell'edilizia moderna, hanno generalmente strade ampie e meno contorte, che chiamiamo vie, viali o corsi.
Eppure, nel quartiere Trieste, uno dei più nobili ed eleganti, di vicoli ne troviamo ancora uno, anzi, fino a pochi anni fa, addirittura due.
Quello scomparso si chiamava vicolo del Pino: la targa toponomastica, fino a una trentina d'anni fa, ne indicava l'imbocco, sul marciapiedi di via Mascagni, seguito solo da una traccia che scendeva a scapicollo tra la vegetazione nel sottostante Fosso di Santa Agnese, quella striscia di campagna sterrata costeggiante la linea ferroviaria, una volta sede di cave e acquitrini, dove nel secondo dopoguerra si era consentita l'edificazione di capanne, baracche, casette, tutte abusive, e che veniva portata ad esempio di degrado sociale e soggetto di film del neorealismo (Vittorio De Sica, nel 1956, vi girò "Il tetto").

La zona venne bonificata in parte negli anni '60, dopo la costruzione del Viadotto delle Valli, per edificarvi una cortina di alti e grandi palazzi (viale Etiopia) e trent'anni dopo per dare spazio al prolungamento della via Olimpica, oggi chiamata Tangenziale Est.

Il vicolo nominato non era che il tratto terminale della via del Pino, che ai primi del Novecento si diramava dalla via Salaria, subito dopo le catacombe di Priscilla, rimanendo in quota sulla destra e costeggiando Tor Fiorenza, un'antica torre che i Teobaldeschi avevano eretto nel Medioevo a guardia dell'accesso a Roma Nord, sull'altura che da via Salaria dominava il Fosso di sant'Agnese.

Ora non più identificabile, doveva comunque trovarsi nel punto più alto, oggi via Ostriana. Il toponimo era però rimasto famoso in quanto dava il nome al Casale sito poco distante, una bassa costruzione in tufo dipinta in rosso pompeiano, che fino ai primi anni '70 ospitava un'osteria, poi ristorante abbastanza rinomato, nel quale si cenava con luci soffuse e un compiacente sottofondo musicale da un complesso jazz.
Ora il Casale di Tor Fiorenza, nello sconforto di chi vi ha vissuto piacevoli serate giovanili, ha lasciato il posto ad una bella palazzina in grigio calcestruzzo armato.

La strada omonima costeggiava la adiacente Villa Chigi, oggi ben restaurata, e ne avrebbe preso il suo nome negli anni '50, mentre la via del Pino, che attraversava la zona dove sarebbe sorta piazza Vescovio, sarebbe stata inglobata nell'edificazione degli anni 30-40.
Il Vicolo della Fontana è l'ultimo rimasto nel quartiere, ed è una stretta viuzza selciata in sampietrini che da via Nomentana costeggia Villa Paganini per finire subito dopo in via delle Isole.

Quel vicolo, poco frequentato dalle auto perché scomodo e un tempo meta di passeggiate romantiche specialmente perché poco illuminato, era una volta molto più lungo e importante, in quanto si trattava del logico "prolungamento" di via Nizza, ancora non edificata fino all'ultimo decennio dell'800, che era la strada campestre proveniente dalle Mura, poco distante dalla "Breccia" del 1870.

Tutto lascia supporre che proprio lungo via della Fontana passasse il rivo originario che formava il Fosso di Sant'Agnese, quella "marana" che proseguendo per il fondovalle finiva per gettarsi nell'Aniene, ma che opportunamente ricoperta avrebbe dato luogo alla creazione di Corso Trieste, viale Eritrea, viale Libia.

Il vicolo attuale della Fontana non avrebbe dunque nessuna attrattiva, tranne per qualche coppietta dai gusti antichi, se non fosse per la presenza, appunto, della Fontana, peraltro assolutamente invisibile al passante. All'ini-zio della viuzza, infatti, se ne intravede solo la parte posteriore con la lapide che ne ricorda l'origine.
Occorre entrare per una breve passeggiata nella villaper osservarne la interessante parte frontale col mascherone nel quale lo stemma araldico di Innocenzo X Pamphili (1644-1655) conferma le date della lapide.

Eppure quella fonte d'acqua, proveniente da una derivazione dell'acquedotto Felice, che ha la sua "mostra" in piazza S. Bernardo, posta per uso pubblico all'esterno del muro di cinta dell'antica villa, ebbe una grande importanza, anche perché lungo la via Nomentana non vi erano fontane o abbeveratoi pubblici, fino alla creazione della Fontana dell'Acqua Marcia, di fronte alla Basilica di Sant'Agnese, che Pio IX inaugurò nel 1870 pochi giorni prima dell'arrivo delle truppe dei piemontesi di Cadorna.

Per questo la Villa Alberoni, che il cardinale allora proprietario chiamava "la casa della delizia", veniva anche indicata come la "villa alla fontana".
Della Villa, delle sue origini e della sua storia abbiamo già esposto diffusamente nel n. 126 di Dossier Condominio del novembre 2011.


Sandro Bari, Direttore Rivista "Voce romana" © Riproduzione riservata
Dossier condominio 189/2022


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