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Nemi, museo delle navi

La libertà che speriamo riconquistata invoglia alle escursioni, o, come si dice a Roma, alle gite fòri porta


Accludendo il piacere della natura a quello della conoscenza, ecco offrirsi il Lago di Nemi con tutto il suo contorno storico e paesaggistico.
Ma non basterà impegnare la giornata soltanto nel periplo del lago e alla visione del suo fascino, e neppure nella visita al paese che ha abbondanza di storia arte e tradizione, e neppure nella trattoria che saprà tentare con le sue specialità locali, e neppure negli acquisti di oggetti, frutti e manicaretti paesani: non può mancare la visita al Museo delle Navi.
Il quale merita un rispetto storico, ben conseguito sia dallo scopo per il quale fu edificato e per il significato di quello che conteneva, sia per la bellezza della struttura, opera di uno dei più grandi architetti del Razionalismo, Vittorio Ballio Morpurgo.

La prima particolarità del Museo è quella di essere stato costruito in pratica direttamente sopra agli oggetti del ritrovamento da conservare, studiare, esporre: le due gigantesche navi (rispettivamente di m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24) appartenute all'imperatore Caligola (37-41 d.C.) recuperate nelle acque del lago tra il 1929 e il 1931.
L'edificazione della struttura, cominciata nel 1933, fu completata nel 1939.
Dopo solo cinque anni fu chiuso per un incendio; riaperto nel 1953 fu di nuovo chiuso nel 1962 e quindi riaperto nel 1988.

Le due navi ospitate, molto simili, servivano a Caligola per divagarsi e accogliere ospiti galleggiando pigramente sulle acque tranquille del piccolo lago immerso nel verde, non troppo lontano dal frastuono dell'Urbe, deliziandosi con giochi, gare, banchetti sontuosi, brevi navigate di poche centinaia di metri, contornati da oggetti rari, da statue, colonne, fontane, templi con sacerdoti e cerimonie, teatri con spettacoli accompagnati da suoni, canti e danze per la delizia del corpo e della mente.
Inutile descrivere in poche righe le caratteristiche uniche al mondo di quelle navi e quindi il loro valore storico e artistico.
I geniali progettisti, che le avevano fatte costruire in loco, avevano ideato gli enormi scafi in modo che potessero sostenere addirittura costruzioni in muratura come un edificio di 600 tonnellate, e timonerie quadruple, tali da permettere l'inversione di marcia dei natanti.

Il lavoro per il recupero fu improbo ma efficace e anche di questo il visitatore del museo si renderà conto dalla documentazione esposta.
Il successo delle operazioni, il recupero, il museo e la mostra furono, a livello mondiale, presentati come un simbolo dell'efficienza del Fascismo nell'esaltazione della Romanità.
Ciò fu probabilmente la causa della distruzione delle meravigliose navi, che furono date alle fiamme nel 1944, non appena i Tedeschi si ritirarono per l'arrivo degli Americani.
Fu facile addossarne la colpa ai nazisti, ma un'altra versione, coperta dall'omertà, racconta che furono partigiani locali a voler "abbruciare le navi di Mussolini, colpevoli di essere state utilizzate come strumento di propaganda fascista".
Non prima però di averne razziato l'enorme quantità di piombo che cingeva le fiancate degli scafi.

Nel 2001, mentre effettuavo un servizio per l'emittente Televita dedicato alle Navi, ebbi modo di indagare e le vaghe e confuse ammissioni, raccolte dai pochi disposti a parlare, non mi lasciarono dubbi; anche perché tale versione era confermata dall'esame della cronologia degli avvenimenti e soprattutto della "misteriosa" sparizione del famoso piombo, che venne dichiarato scomparso per "evaporazione" da una "commissione d'inchiesta" piuttosto ...impreparata in chimica!
E infine, che le navi non fossero ancora bruciate quando arrivarono le avanguardie americane, risulta evidente dal fatto che proprio un soldato USA se ne portò via un pezzo di mosaico, intatto, che costituiva parte della pavimentazione.

Il mosaico, finito in America, fu però scoperto nel 2013 dall'esperto marmista italiano Dario Del Bufalo, durante la presentazione del suo libro Porphyry sull'uso del porfido rosso nell'arte imperiale, il quale lo identificò: era in possesso di Helen Costantino Fioratti, presidente di "L'Antiquaire and the Connoisseur", una galleria d'arte e antiquariato di Manhattan.
La signora lo utilizzava nel suo appartamento di Park Avenue come piano per un tavolo da caffè, date le sue dimensioni: un quadrato di m.1,5 di lato.
Dopo le immaginabili vicissitudini legali e burocratiche, il mosaico è stato sequestrato dalle autorità americane nel 2017 e nel 2019 i nostri Carabinieri lo hanno riportato in patria.

Ora sarà visibile nel rinnovato Museo delle Navi di Nemi, ora sotto la supervisione di Massimo Osanna, che è oggi il nuovo Direttore Generale dei Musei Italiani, già benemerito della riqualificazione del sito di Pompei.
Ora, all'interno della struttura muraria originaria, le vasche che contenevano i preziosissimi scafi sono tristemente vuote e se ne possono così intuire le dimensioni.
I modelli in esposizione sono in scala ridotta 1:5, ma sono comunque ricchi dei particolari che li rendevano unici, e molte caratteristiche sono ancora per fortuna visibili perché in parte recuperate o ricostruite.

È un vero peccato che non esista più, perché lasciata in abbandono, la ricostruzione effettuata da un Maestro d'ascia della chiglia di una delle navi: vi stavano lavorando durante il mio servizio televisivo di vent'anni fa e ne ho per fortuna salvato alcune immagini, dalla quali si può rilevare l'immane lavoro che fu svolto dai Romani per costruire a suo tempo le navi, e anche l'impegno dell'artigiano che era all'opera per restituirne una ricostruzione alla visione del pubblico.
La struttura lignea che era stata rifabbricata era talmente e realisticamente lunga (73 metri) che è stato impossibile fotografarla per intero.

Un'ultima annotazione riguarda il povero architetto Morpurgo, che dopo l'incendio del suo bel Museo delle Navi, dovette subire post mortem anche l'estremo insulto della distruzione della sua Teca dell'Ara Pacis del 1938, efferatamente compiuta dopo solo mezzo secolo di vita dai governanti dell'Urbe, per incultura o interesse, per essere sostituita dalla "pompa di benzina" di un edificatore americano che neppure voglio nominare.


Sandro Bari, Direttore Rivista "Voce romana" © Riproduzione riservata
Dossier condominio 184/2021


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