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Normativa condominio

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La Normativa e il Condominio

recuperare crediti condominiali

Come recuperare i crediti condominiali attraverso il decreto ingiuntivo

Problematiche connesse


La tendenza dei condomini di sottrarsi al pagamento delle spese comuni, a torto ritenute estranee alla sfera privata, è costume noto, così come è provato il disinteresse  degli stessi per le conseguenze che tale comportamento determina sulla collettività. Questo fenomeno è divenuto negli ultimi anni, in ragione della crisi finanziaria, ancora più evidente e ciò ha portato gli amministratori, sempre più di frequente, a ricorrere a mezzi forzosi per il recupero di morosità sempre più consistenti.

Alla base delle insolvenze, quindi, vi sono sostanzialmente due fattori: la contingente difficoltà economica e la errata cognizione del concetto di bene comune, che porta a ritenere che gli effetti negativi del mancato mantenimento in efficienza di quanto non sia di proprietà esclusiva, non abbia alcuna ricaduta nella sfera personale. Ed è assai difficile fare comprendere, a chi si pone in questa posizione, che tale opinione non porta da nessuna parte, o meglio, che questo modo di intendere la vita condominiale non può che danneggiare, irrimediabilmente, anche i propri interessi, poiché il valore economico della proprietà esclusiva è inscindibilmente collegato a quello della proprietà comune.

Rapporto tra decreto ingiuntivo e mediazione

Il procedimento di ingiunzione, per espressa disposizione legislativa e come previsto dall’art. 5, co.4, lett.a) di cui al D.Lvo n. 28/10 come modificato dalla L. n. 98/13, non è soggetto alla mediazione obbligatoria. Tale esenzione, tuttavia, è limitata alla fase meramente sommaria, che si esaurisce con l’emissione del decreto ingiuntivo mentre, laddove vi sia stata opposizione da parte del debitore e prenda avvio la cosiddetta fase di merito o cognitiva, l’apertura della mediazione obbligatoria coincide con il momento in cui il giudice revoca o conferma la provvisoria esecuzione del provvedimento ingiuntivo.

L’obbligo, quindi, non può che sorgere con la prima udienza di comparizione relativa al giudizio di opposizione, nel corso della quale il giudice fisserà, senza indicare i soggetti tenuti all’incombente, i relativi termini di legge per avviare la procedura conciliativa (la formula di prassi utilizzata, infatti, è “il giudice assegna alle parti il termine di 15 giorni per procedere alla mediazione….”).

A questo proposito si è posto l’interrogativo se la domanda di mediazione debba essere presentata dal condominio (soggetto opposto ed in quanto tale attore in senso sostanziale) ovvero dal condomino che ha subito l’ingiunzione di pagamento (soggetto opponente ed in quanto tale convenuto, sempre da un punto di vista sostanziale). Ed ancora si è profilata la questione concernente l’effetto di una mancata attivazione della mediazione, nei confronti del decreto ingiuntivo.

Su tale punto i giudici di merito avevano espresso un orientamento contrastante. Ad esempio,  il Tribunale di Varese, con ordinanza del 18 maggio 2012, aveva ritenuto che, dovendo il giudice dell’opposizione decidere “sulla pretesa originariamente fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni e difese contro la stessa proposta” (nel nostro specifico caso il condominio/creditore/attore sostanziale), l’onere di attivare la mediazione, per evitare la declaratoria di improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo, spettasse a tale soggetto. Di segno totalmente opposto, invece, il Tribunale di Firenze che, con sentenza del  30 ottobre  2014, aveva dichiarato che dell’onere in questione si dovesse fare carico il debitore/opponente con la conseguenza che, in caso di omessa mediazione, la dichiarata improcedibilità dell’opposizione avrebbe decretato il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo.

Su tali opposti fronti è intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione n. 24629 del 3 dicembre 2015, che ha composto il contrasto giurisprudenziale in atto.

Nel rinviare il lettore, che sia interessato ad approfondire l’argomento, direttamente alla decisione, si osserva che i giudici di legittimità hanno  affermato che la mediazione deve essere promossa dall’opponente in quanto soggetto interessato ad introdurre il giudizio di merito, ovvero la soluzione più dispendiosa ed osteggiata dal legislatore. Il tutto a pena del consolidamento degli effetti del  decreto ingiuntivo qualora la mediazione non venga promossa.

 Nel nostro specifico caso, quindi, sarà il condomino a farsi parte diligente per attivare la mediazione obbligatoria e non il condominio.

Decreto ingiuntivo e comproprietà dell’immobile: chi è passivamente legittimato?

E’ pacifico che un decreto ingiuntivo debba essere richiesto nei confronti del condomino, quindi il conduttore non potrà mai essere legittimato passivo all’azione di recupero, in quanto terzo estraneo al condominio.

Mentre è frequente che gli appartamenti in condominio siano intestati ad entrambi i coniugi oppure  siano in comunione tra più soggetti (vedi successione ereditaria, donazione, acquisto in comunione). In tal caso a chi indirizzare il ricorso per decreto ingiuntivo?

Va precisato che, con l’ingresso della riforma del 2012, oggi è scomparsa (o almeno dovrebbe) la figura del condomino apparente, vista l’introduzione del registro dell’anagrafe condominiale nel quale l’amministratore deve annotare i dati (codice fiscale, residenza anagrafica o domicilio) di tutti i proprietari e dei titolari di diritti reali e personali di godimento (art. 1130, n. 6, c.c.). Dati che rendono più semplice  il compito di individuare i soggetti legittimati passivamente all’azione ingiuntiva. E non solo.

Detto questo, per la questione assume rilevanza la decisione della Suprema Corte n. 21907 del 21 ottobre 2011 ove si affermava che “i comproprietari di un’unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall’art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell’unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi. Trattandosi di un principio informatore della materia, al rispetto di esso è tenuto il giudice di pace anche quando decida secondo equità ai sensi dell’art. 113, secondo comma, c.p.c.”.

Dalla natura solidale dell’obbligazione che grava sui comproprietari di un’unità immobiliare in condominio, pertanto, discende che l’ente di gestione ha titolo per chiedere ad ognuno l’adempimento per intero e che tra i proprietari pro-indiviso non sussiste litisconsorzio necessario.

Come si deve, dunque, comportare l’amministratore in questi casi? Deve semplicemente fornire al proprio legale il nominativo dei comproprietari del bene affinché l’ingiunzione di pagamento sia rivolta a tutti in via solidale. Ciò consentirà al condominio di non perdere le garanzie per il recupero del proprio credito, anche nella fase esecutiva.

 L’introduzione del registro dell’anagrafe condominiale, del resto, ha proprio lo scopo di rendere noti i soggetti che, in quanto proprietari di uno stesso immobile, sono condomini.

Il rendiconto ed il preventivo:
presupposti indefettibili per l’esperibilità dell’azione ingiuntiva

In via  preliminare - viste le obiezioni e le domande che spesso, nell’ambito della professione, mi sono state rivolte - penso sia utile affrontare un primo aspetto della questione, ovvero quello indicato dall’art. 63, co.1 disp.att.c.c., concernente lo stato di ripartizione delle spese approvato dall’assemblea, quale presupposto essenziale per ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo.

Per esperienza diretta, infatti, molti clienti, lamentando la redazione di bilanci in modo non intellegibile, chiedono se sia possibile non pagare. La risposta immediata, ovviamente, non può che essere negativa, poiché dal momento in cui il bilancio è stato regolarmente approvato dall’assemblea e la delibera non è stata impugnata nei termini di cui all’art. 1137 c.c. si consolida, in capo al condomino, l’obbligo del pagamento della quota di sua pertinenza, con il rispetto dei termini indicati nello stato di riparto.

Oggi più che mai, è necessario che l’amministratore, come previsto dall’art. 1130bis c.c. (new entry dalla legge n. 220/2012) predisponga un rendiconto, che contenga le voci di entrata e di uscita e tutti i dati concernenti la situazione patrimoniale del condominio espressi in modo da consentirne una “immediata verifica” da parte dei condomini. Là dove, nel passato, la giurisprudenza, pur affermando che i bilanci condominiali non dovevano rivestire le forme rigorose richieste per i rendiconti delle società, aveva essa stessa già dichiarato che era per essi sufficiente una forma tale da rendere  intellegibili le voci di entrata e di uscita con la relativa ripartizione (per tutte Cass. 23 gennaio 2007, n. 1405). Inoltre, per consentire una migliore e più completa conoscenza della situazione contabile e finanziaria dell’Ente, l’amministratore dovrà inviare, in una con l’avviso di convocazione, una nota sintetica ma esplicativa della gestione condominiale nella quale, al bisogno, potrà preventivamente spiegare anche i passaggi più complessi del rendiconto. In tal modo i condomini non potranno più giustificare le proprie morosità prendendo a giustificazione l’asserita complessità dei rendiconti.

Malgrado la legge 220/2012, per la prima volta, abbia stabilito in sei mesi dalla chiusura dell’esercizio il termine entro il quale  l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme erogate (art. 1129, co. 9, c.c.), così divenute esigibili, va detto che la norma, per questo specifico profilo, sembrerebbe avere un ambito di applicazione limitato al solo rendiconto o bilancio consuntivo.  In realtà - come emerge dalla costante giurisprudenza - è pacifico  che l’amministratore, anche sulla base del solo preventivo e della relativa ripartizione, è legittimato a richiedere al giudice di pace (per crediti fino ad euro 5.000,00) oppure al Tribunale territorialmente competenti l’emissione di un decreto ingiuntivo.

La ratio di tale legittimazione è più che evidente. Infatti, anche di fronte ad una pianificazione delle spese future, non si possono tollerare ritardi nei pagamenti che potrebbero di fatto rallentare o bloccare la gestione della vita condominiale. A tale fine  basti solo pensare ai preventivi che riguardano i pagamenti delle spese di gestione del riscaldamento che, se non versati alle regolari scadenze, potrebbero determinare una sofferenza nelle tasche del condominio con il rischio di una sospensione di erogazione delle forniture.

A fronte di un codificato dovere dell’amministratore di agire in giudizio nei confronti dei morosi che,  in caso di inerzia, è considerato irregolarità tale da determinare la revoca dal mandato (art. 1129, co. 12, n. 7),  il legislatore ha consentito all’assemblea di decidere se dispensarlo da tale onere (art. 1129, co. 9, c.c.).

La norma è tutta da interpretare. Non è stato indicato, infatti, il quorum deliberativo (anche se è presumibile che sia quello indicato dall’art. 1136, co. 3) ed è stata lasciata, come doveva essere stante la discrezionalità dell’organo assembleare, libertà di individuare, caso per caso, le condizioni che possano portare alla dispensa nei confronti dell’amministratore.  Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nel caso in cui il credito del condominio fosse tanto esiguo da rendere non conveniente ricorrere all’autorità giudiziaria se le spese legali (che in ogni caso il condominio deve pagare al proprio legale e salvo il regresso del primo nei confronti del debitore) dovessero  superare la somma da incassare; oppure nel caso di richiesta del debitore rivolta all’assemblea  di rinviare temporaneamente la riscossione del credito a fronte di una offerta di adempimento rateizzato ed ancora quando, accertato lo stato di totale incapienza (anche di beni immobiliari) del condomino moroso sia antieconomico procedere nei suoi confronti. In tale ultimo caso, tuttavia, è evidente che la situazione del debitore debba essere sempre monitorata in attesa del momento opportuno per agire in giudizio.

Solleciti ed attribuzione dei relativi costi

Anche se il codice civile prevede che l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo verso i condomini morosi senza chiedere l’autorizzazione dell’assemblea, poiché trattasi di attività inerente alle sue specifiche competenze delineate dall’art. 1130 c.c., è tuttavia consigliabile che egli, prima di ricorrere alla procedura ingiuntiva, ponga in essere quanto in suo potere per evitare di instaurare un contenzioso giudiziario. Tutto ciò malgrado la Corte di Cassazione abbia affermato che l’amministratore può chiedere il decreto ingiuntivo prima ancora di mettere in mora il condomino, a patto che non vi sia una clausola contraria del regolamento condominiale (Cass. 16 aprile 2013, n. 9181).

L’amministratore non deve lasciare spazio al condomino per accumulare debiti e, quindi, fino dai primi ingiustificati ritardi egli deve inviare lettere di sollecito. In un primo momento si potrà trattare di un richiamo, in quanto il ritardo potrebbe essere determinato da  mera distrazione, ma se l’inadempimento dovesse persistere il nuovo sollecito dovrebbe essere più determinato nel senso che il condomino deve essere messo a conoscenza del rischio cui va incontro.

Da questo momento in poi  l’amministratore dovrà rivolgersi ad un legale di fiducia il quale,  prima di attivare esso stesso la procedura ingiuntiva, potrebbe tentare di ottenere il pagamento del dovuto. Nel caso di insuccesso non è opportuno che il professionista prosegua in una attività stragiudiziale tanto inutile quanto economicamente gravosa per il condominio.

In ogni caso, sia che con l’intervento del legale il condomino sani la morosità, sia nel caso contrario, le spese dell’attività svolta dal professionista, rapportate  al valore della controversia ed alla sua complessità, nonché inserite nel consuntivo, dovranno essere poste  a carico del condomino inadempiente come spese personali. Ciò in quanto sarebbe del tutto ingiusto che il condominio e di riflesso i condomini in regola con i pagamenti si dovessero accollare oneri legali determinati da comportamenti illegittimi. In questo ambito, inoltre, è stato sollevato un altro problema: ovvero se anche le spese postali debbano essere incluse nella voce “spese personali”. In questo caso specifico ritengo che tali spese debbano seguire la sorte delle spese legali, mentre nel caso in cui i solleciti pervengano dall’amministratore le sole spese dei corrispondenza saranno a carico del condominio, trattandosi di attività ordinaria che l’amministratore deve svolgere per garantire la normale gestione dell’Ente. 

La presenza di una norma regolamentare per questo profilo  eviterebbe l’insorgere di inutili controversie postume.

Rapporto tra decreto ingiuntivo e delibera assembleare

Sempre in base al dettato del primo comma dell’art. 63 cit. il decreto ingiuntivo è immediatamente esecutivo, nonostante il giudizio di opposizione proposto dall’ingiunto che, per consolidata giurisprudenza, è svincolato da qualsivoglia rapporto di pregiudizialità con  il giudizio di impugnativa delle delibera assembleare. Ciò è quanto  affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 26629 del 18 dicembre 2009) la quale ha precisato che “il titolo di credito del condominio prova l’esistenza di tale credito ed è il presupposto che legittima la concessione del decreto ingiuntivo e la condanna del condomino a pagare le somme. Nel giudizio di opposizione l’accertamento è ristretto alla sola verifica della fondatezza nel merito della domanda azionata in via ingiuntiva”. Successivamente, lo stesso Tribunale di Roma (sentenza n. 3005 del 07 febbraio 2014) in linea con il principio pronunciato dai supremi giudici   ha dichiarato che l’ambito cognitivo del giudizio di opposizione non si può estendere a questioni che concernono la legittimità della delibera assembleare, riguardando esso giudizio la sussistenza del debito e/o della sua documentazione che costituisce la prova scritta per l’ottenimento dell’ingiunzione di pagamento. Mentre la sindacabilità della validità della deliberazione assembleare è possibile solo con il ricorso al procedimento previsto dall’art. 1137 c.c.

Detto questo giova evidenziare che  di recente la Corte di Cassazione, con sentenza 12 gennaio 2016, n. 305 ha avuto modo di precisare che tale principio non si applica alle deliberazioni nulle.

Il caso:  in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo i condomini, tra gli altri motivi, avevano dedotto che la delibera con la quale erano stati approvati alcuni lavori di manutenzione straordinaria, la cui quota personale era stata oggetto di ingiunzione, era affetta da nullità poiché l’assemblea aveva erroneamente deliberato, a maggioranza, per beni appartenenti in proprietà esclusiva dei condomini. Dichiarata dal giudice di pace, per tale profilo,  la nullità della delibera condominiale e revocato il decreto ingiuntivo, il condominio proponeva appello avverso la sentenza di prime cure evidenziando, per quanto di nostro interesse, che la delibera fondante dell’opposto decreto non era stata impugnata dal condomino ai sensi dell’art. 1137 c.c.. Il tribunale adito accoglieva l’appello ed avverso la sentenza il condomino soccombente proponeva ricorso per Cassazione.

I giudici di legittimità hanno affermato che sul punto non si può prescindere dalla  storica decisione della Corte (sentenza 7 marzo 2005, n. 4806) che aveva nettamente distinto i caratteri delle delibere annullabili, come tali impugnabili nei termini di cui all’art. 1137, da quelle radicalmente nulle impugnabili senza limiti di tempo. Sulla base di tale precedente, poi, la stessa Corte aveva ancora dichiarato che “ben può il giudice rilevare di ufficio la nullità quando, come nella specie, si controverta in ordine alla applicazione di atti (delibera d’assemblea di condominio) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo, la cui validità rappresenta elemento costituivo della domanda” (Cass. 27 aprile 2006, n. 9641).

Dal combinato delle posizioni espresse dai supremi giudici è scaturita la recentissima decisione n. 305/2016, che ha cassato con rinvio la sentenza di appello avendo ritenuto che il giudice di secondo grado non aveva correttamente applicato i principi emessi dalla stessa Corte in tema della rilevanza della nullità della delibera condominiale, posta a fondamento di un decreto ingiuntivo, sollevata solo in  sede di opposizione proposta nei confronti di quest’ultimo.

Ulteriori problematiche

Come già accennato,  il decreto ingiuntivo in materia condominiale è immediatamente esecutivo, nonostante l’opposizione talchè, volendo, il legale incaricato dal condominio  potrebbe notificare al moroso, contestualmente, il titolo - rappresentato dal decreto ingiuntivo – e l’atto di precetto, propedeutico all’azione di esecuzione. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, allorché il condomino, malgrado una sua morosità persistente e consistente, non abbia mai dato  riscontro agli inviti di adempimento rivolti dal condominio. In tale situazione l’ente creditore, per accelerare l’azione esecutiva,  potrebbe, a ragione, decidere di non attendere i canonici quaranta giorni fissati dall’art. 645 c.p.c. riservati al debitore per promuovere l’opposizione. Si ritiene, tuttavia,  che una eventuale causa di contrasto  ed una ipotizzabile  sospensione dell’esecuzione (nel caso prospettato già avviata) debbano sconsigliare di precorrere i tempi, poiché il giudizio esecutivo così incardinato verrebbe sospeso in attesa della decisione di merito ed il condominio si troverebbe ad anticipare del tutto inutilmente spese legali e giudiziarie, la cui entità è sempre commisurata al valore della controversia.

La questione non è di poco conto perché molto spesso gli amministratori, rilasciando ai propri difensori deleghe che coprono il giudizio di primo grado, quello di appello fino a quello di carattere esecutivo conferiscono al legale uno spazio di manovra molto ampio. Questo potrebbe implicare un rischio che deve essere calcolato dall’amministratore in via preventiva, poiché ogni giudizio che viene incardinato ha una sua storia, così un’azione esecutiva prima di essere promossa deve essere valutata nella sua convenienza. Ciò significa che è opportuno – a salvaguardia dell’amministratore – che la decisione se procedere o meno in via esecutiva sia portata all’attenzione dell’assemblea, la quale deciderà sulla scorta delle indicazioni del legale. Quanto fino ad ora rilevato sembrerebbe confliggere con il dettato legislativo, che all’art. 1129, co. 12, n. 6 tra le gravi irregolarità annovera la seguente: “qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme  dovute al condominio, l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva”.

A mio avviso non vi è contrasto con quanto rilevato in ordine all’opportunità di procedere in via esecutiva nei confronti dell’ingiunto. Infatti, se è vero che l’amministratore non si può esimere dal richiedere, tramite lo strumento ingiuntivo, il pagamento degli oneri condominiali è altrettanto vero che promuovere una procedura esecutiva (mobiliare, presso terzi o immobiliare), obiettivamente costosa, non è consigliabile quando la sussistenza e consistenza del patrimonio del debitore non offra una concreta prospettiva di realizzo. Diverso, invece, e questo mi sembra l’oggetto della norma, se la procedura esecutiva sia stata avviata e l’amministratore non ne segua lo sviluppo in tandem con il difensore del condominio riferendone, periodicamente, all’assemblea.

In quest’ottica si inserisce un’altra problematica, che concerne la richiesta  del condomino, che abbia subito un decreto ingiuntivo, di dilazionare il pagamento della somma dovuta, oppure di raggiungere un accordo in via transattiva con il condominio a definizione dell’intero debito.

Va premesso che con l’entrata in vigore della riforma del condominio situazioni di questo tipo non si dovrebbero più verificare, in quanto – come visto – l’obbligo dell’amministratore di procedere alla riscossione forzosa dei crediti condominiali entro un termine prefissato dovrebbe costituire un deterrente anche per i morosi irriducibili, non è improbabile che, nel  caso di sofferenza della cassa comune, il rappresentante dell’Ente incontri proprio nell’assemblea, che non delibera sul costituendo fondo per le spese che consentano azioni ingiuntive il vero ostacolo. Ed è evidente che, in tali circostanze, certamente l’amministratore non potrà anticipare spese per conto del condominio.

Nell’uno e nell’altro caso (rateizzazione ed accordo transattivo) l’amministratore non può assumere direttamente una  decisione che è prerogativa dell’assemblea, la quale ha la massima discrezionalità operativa, nel rispetto delle maggioranze di legge. Con particolare riferimento all’accordo transattivo ancora in questi giorni la Cassazione ha specificato che “l’assemblea può deliberare a maggioranza su tutto ciò che riguarda le spese di interesse comune e, quindi, anche sulle transazioni che a tali spese afferiscano, essendo necessario il consenso unanime dei condomini, ai sensi dell’art. 1108, terzo comma, c.c., solo quando la transazione abbia ad oggetto i diritti reali comuni (Cass. 13 aprile 2016, n. 7201. Conf.  Cass. 16 gennaio 2014, n. 821).

Il nodo non sciolto della solidarietà dei condomini verso i terzi e le modalità di questi per il recupero dei propri crediti

Dell’art. 63, disp. att. c. c. la disposizione che non ha destato problemi interpretativi è quella contenuta nel primo comma, che consente ai creditori insoddisfatti di ottenere dall’amministratore, su propria richiesta, l’elenco dei condomini morosi. Mentre il comma secondo (“i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”) ha aperto un acceso dibattito sulle modalità e tempi che il terzo creditore deve seguire per procedere alla fase esecutiva fino ad approdare, in caso di mancata soddisfazione del proprio credito, al gradino finale: ovvero procedere in via esecutiva nei confronti di chi sia in regola con i pagamenti.

Secondo un indirizzo maggioritario, anche confortato da decisioni di merito, la via da seguire dovrebbe essere quella che il terzo, prima di procedere nei confronti dei condomini virtuosi deve tentare di recuperare i soldi dal condominio, poi dai morosi ed in ultima istanza da coloro che hanno già adempiuto alla loro obbligazione. Il tutto con una graduazione del tutto logica.

Nonostante la scarsa chiarezza della norma, infatti, si ritiene che il condominio, pur essendo ente sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, resta il debitore principale; non va dimenticato che un qualsivoglia contratto con il terzo è stato firmato dall’amministratore del condominio, che il decreto ingiuntivo – titolo per l’esecuzione - viene promosso nei confronti dell’ente e che il condominio è il destinatario del precetto, tanto è vero che la sussistenza di fondi comuni permetterebbe al creditore di soddisfare il proprio credito.

Alcune pronunce della prima giurisprudenza di merito:

Tribunale di Pescara: ordinanza 17 dicembre 2013 ha affermato:  ai sensi dell’art. 63 Disp. Att. c.c. il creditore può agire nei confronti dei condomini non in regola. E’ pertanto inammissibile il pignoramento del conto corrente condominiale da parte del terzo creditore senza aver preventivamente provveduto a detta escussione dei condomini ”morosi”;

Tribunale di Reggio Emilia, sentenza del 16 maggio 2014  ha sostanzialmente affermato che il c/c intestato al condominio rappresenta un’ipotesi di autonomia patrimoniale riferibile, formalmente, all’ente di gestione che ne dispone sulla base delle decisioni dell’assemblea e che rimane sottratta alla disponibilità dei condomini, tanto è vero che dal momento in cui le somme affluiscono sul conto, nessun condomino ha il titolo per l’eventuale restituzione. Una volta costituiti i fondi per l’amministrazione dei beni comuni, essi si concentrano in capo al condominio il quale risponde nei confronti dei creditori con i beni così accantonati. Sulla scorta di tali rilievi, quindi, il giudice ha ritenuto che “l’art. 63, co. 2 disp. att. c.c. non esclude affatto che ove il creditore individui beni riferibili al condominio non possa aggredirli direttamente, senza dover procedere all’escussione dei singoli condomini, secondo un criterio di responsabilità patrimoniale ex art. 2741 c.c. che considera il debitore obbligato a fare fronte ai propri debiti con le risorse allo stesso riferibili”;

­– Tribunale di Verona: ordinanza 20 novembre 2012:  ritenuto come statuito dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite in data 8/4/2008 n. 9148 la natura parziaria dell’obbligazione assunta nell’interesse del condominio relativamente alle spese per opere concernenti le cose comuni e ritenuta conseguentemente la fondatezza della richiesta sospensione, in uno alla ammissibilità della proposta opposizione all’esecuzione; sospende l’esecuzione fissando termine ex art. 165 c.p.c. per l’iscrizione a ruolo dell’atto di opposizione nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 163 bis c.p.c. 

Tribunale di Milano, con ordinanza del 27 maggio 2014  ha evidenziato l’obbligo dell’amministratore di fare affluire i fondi su uno specifico c/c patrimoniale (art. 1129, co. 7, c.c.) al fine di evitare di generare confusione tra il “patrimonio” dell’amministratore e quello dei singoli condomini (art. 1129, co. 12, nn. 3 e 4), osservando che nel c/c condominiale si viene a realizzare una unicità di versamenti che costituiscono il saldo, che è ad immediata disposizione del “correntista condominio”, perdendo rilievo la provenienza della provvista da parte di uno piuttosto che di altro condomino. Da qui il principio dettato dal giudice meneghino: “il pignoramento del saldo del c/c condominiale da parte del creditore è volto a soddisfare in via esecutiva la sola obbligazione per l’intero gravante sull’amministratore e non interferisce con il meccanismo di escussione ex art. 63, co 2, il quale è posto a presidio unicamente dei distinti obblighi pro quota spettanti ai condomini” e, da ultimo

Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza del 22 dicembre 2015  ha sostenuto l’orientamento in merito alla circostanza che le somme depositate sul c/c condominiale sono sottratte alla disponibilità dei condomini, poiché esse somme sono destinate alla realizzazione di quegli interessi che via via saranno individuati ed approvati in seno alle singole assemblee, talché tra il condomino che ha versato dette somme e gli importi stessi, nel momento in cui essi sono depositati sul conto condominiale, viene rimosso qualsivoglia legame giuridico. Da ciò consegue che l’intero patrimonio presente sul conto corrente condominiale, non essendo soggetto a distinzioni di sorta, né in termini di provenienza né in termini di destinazione, può essere pignorato per soddisfare i crediti del terzo.

Non resta che rimanere in attesa di un chiarimento del legislatore e se questo non verrà, come sempre, sarà demandato ai giudici.


di Adriana Nicoletti (Avvocato del Foro di Roma) © Riproduzione riservata

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