
Normativa condominio
La Normativa e il Condominio
L'assemblea autoconvocata dai condòmini è nulla se l'amministratore adempie correttamente alla loro
Corte di Appello di Torino, Sentenza 27 maggio 2020 n. 568
Accade spesso nella pratica condominiale che i condòmini chiedano all’amministratore la convocazione dell’assemblea a norma dell’art. 66 d.a.c.c. Questa norma stabilisce che i richiedenti devono essere almeno due e che rappresentino almeno un sesto del valore dell’edificio.
La norma, risalente alla stesura del 1942, filtra saggiamente le richieste che pervengono all’amministratore, impedendo di affidarle alla volontà di un solo partecipante.
L’amministratore, ricevuta la richiesta, deve convocare l’assemblea entro dieci giorni e, ove non provveda, gli stessi firmatari della richiesta provvedono alla convocazione.
Spesso tale possibilità viene utilizzata da chi intende procedere alla revoca dell’amministratore, il quale spesso convoca l’assemblea oltre il ristretto termine di legge, cercando di conciliarlo con i propri impegni professionali.
È in quel momento che i condòmini “approfittano” dell’occasione e si “autoconvocano” per l’assunzione della decisione richiesta.
Secondo il provvedimento della Corte di Appello di Torino, l’art. 66 comma 1 d.a.c.c. riconosce ai condomini un potere di impulso alla convocazione dell’assemblea solo in presenza di due condizioni: a) la richiesta di almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio; b) l’inerzia, per oltre dieci giorni, da parte dell’amministrazione.
L’eccezionalità del potere di autoconvocazione è, pertanto, circoscritto alla sussistenza delle due circostanze sopra indicate in difetto delle quali ai condomini è preclusa ogni possibilità di convocare l’assemblea.
Ne consegue che, in caso di rituale e tempestiva convocazione dell’assemblea da parte dell’amministratore, l’eventuale convocazione dell’assemblea da parte dei condomini richiedenti, non essendo gli stessi più legittimati dalla richiamata norma, non integra solo un vizio di convocazione tale da determinare l’annullabilità delle relative delibere assunte, bensì di nullità delle stesse.