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Notizie utili per l'Amministratore di Condominio

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Criticità del distacco dal riscaldamento centralizzato

All'interno del quadro normativo pubblicistico, secondo una direttrice diametralmente opposta, avente come obiettivo ed interesse la tutela dei diritti del singolo condomino verso il condominio rispetto all'uso ed alle spese del bene comune riscaldamento, si è mosso il Legislatore


ART. 1118 c.c. 4° COMMA:
“Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Ma, nel presunto contrasto tra norme privatistiche e pubblicistiche, come scriveva il dott. Franco Petrolati, magistrato della IV sez. della Corte D’appello di Roma ed autore di numerose opere in materia condominiale, dovrebbe prevalere l’interesse pubblico:
“il presunto diritto al distacco disegnato dall’art. 1118 c.c. è destinato ad affievolire di fronte alle inderogabili esigenze di ordine pubblico imposte dal risparmio energetico, profilandosi come residuale, ove, cioè, non possa realizzarsi diversamente l’adeguamento agli standard invalsi nell’uso razionale dell’energia” (dott. Franco Petrolati, in “Il codice del condominio”, Giuffrè, aprile 2014, pag. 85).
Anche la dott.ssa Gisella Dedato, da magistrato Civile presso la sez. 5ª del condominio (con la sentenza 9477/2010 in Giudizio da me patrocinata e perso) affermava “le disposizioni della legge 10/1991 (in punto di installazione contabilizzatori) per il loro carattere pubblicistico prevalgono sulla disciplina privatistica, donde l’autonomia negoziale delle parti risulta limitata.”
E poiché oggi l’adozione dei sistemi di contabilizzazione calore è “obbligatoria”, in forza di norma di rango primario, il D. Lgs. 102/2014, in quanto intervento stimato “necessario” per il raggiungimento dell’obbiettivo del rispar- mio energetico, si ritiene che lo spazio per il distacco si sia assottigliato ulteriormente e residuerebbe per le sole ipotesi in cui il condominio non possa, per documentate ragioni tecniche e di costi, adottare i sistemi obbligatori di contabilizzazione del calore o ai casi in cui ci si trovi in presenza di oggettive carenze dell’impianto condominiale che non consentano ad una unità immobiliare di poter godere della normale erogazione di calore e non sia possibile intervenire sull’impianto per ovviare alle disfunzioni lamentate.
Si consideri che un ulteriore elemento che dovrebbe portare a scoraggiare i distacchi è l’obbligo, per i nuovi impianti - caldaie autonome, di canna fumaria che arrivi fin sopra il colmo del tetto dell’edificio (ex legge 90/2013 di conversione del D.L. 63/2013).
Resta inteso che si tratta di interpretazioni e non di certezze e di interpretazioni elaborate a favore dell’amministratore, ovvero nel senso di semplificare ed agevolare la gestione del condominio piuttosto che di incrementarne le problematicità.
In ogni caso, oltre a questo spazio residuale per il distacco, restano ovviamente da risolvere tutti i casi pregressi di distacco avvenuto e da capire come conciliarli con la contabilizzazione.
Con i colleghi dell’Ufficio Legale ANACI Roma, raccogliendo le preziose indicazioni del Centro Studi Nazionale ANACI,1 abbiamo elaborato una sorta di prontuario dell’amm.re di condominio per la risoluzione di alcune delle ricorrenti questioni sottoposteci in materia di distacco, che  propongo con qualche variazione ed integrazione a risposta di molti dei quesiti pervenuti in questi giorni.
Il quesito più ricorrente ed a monte è:

Cosa deve fare l’amministratore quando riceve la comunicazione di distacco?
Preliminarmente, l’amministratore informa il condomino della normativa pubblicistica in materia e dell’obbligo di portare la canna fumaria sul colmo del tetto ex legge 90/2013 di conversione del D.L. 63/2013  (informazioni che dovrebbero scoraggiare il condomino che vuole distaccarsi). Inoltre:

‘           Se l’amministratore riceve dal condomino una semplice comunicazione, non accompagnata dalla perizia:
L’amministratorere richiede a detto condomino la perizia redatta da un tecnico abilitato, che attesti  l’assenza di notevoli squilibri di funzionamento o l’assenza di aggravi di spesa per gli altri condomini a seguito del distacco (di seguito accenneremo ai requisiti di questa perizia).
Infatti, l’art. 1118 c.c. subordina l’esercizio del diritto individuale al distacco alla sussistenza dei due presupposti tecnici richiamati ovvero 1) dell’assenza di notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto o 2) dell’assenza di aggravi di spese per gli altri condomini, con onere probatorio del richiedente che il diritto vuole far valere, anche ex art. 2697 c.c. (Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”).
‘           Se il distaccante non fornisce la perizia richiesta:
L’amministratore porta la questione in assemblea e si ritiene che l’assemblea possa anche vietare il distacco motivando espressamente a verbale il divieto (ovvero che non è stata data prova dei presupposti tecnici che legittimano l’esercizio del diritto al distacco) oppure  potrà richiedere la perizia di cui sopra.
Risulta importante motivare eventuale opposizione al distacco in quanto, la delibera che in presenze delle condizioni di legge vieta il distacco è per la Cassazione nulla (Cass. sez. 6ª, 03.04.2012, n. 5331, Cass. 22 marzo 2011 n. 6481, Cass. 30.03.2006 n 7518), nel mentre è possibile che sia, a contrario, ritenuta valida la delibera che vieta il distacco in assenza della prova delle condizioni previste da legge.

‘           L’amministratore che riceve dal condomino la comunicazione di distacco deve sempre convocare l’assemblea e notiziarne in merito il condominio:
Ovviamente all’ODG l’amministratore porrà la “comunicazione” di distacco, e non “l’autorizzazione” al distacco ex art. 1118 c.c., essendo l’assemblea chiamata non già ad autorizzare il distacco, cioè a concedere e/o costituire un diritto, ma a valutare se ne sussistono i presupposti tecnici per l’esercizio.
Alcuni amministratori, ricevute le comunicazioni di distacco, non  riportano la questione in assemblea, limitandosi a prenderne atto anche ai fini della ripartizione delle spese.
Tale prassi non risulta corretta, per diverso ordine di motivi:
1)         l’amministratore non consente all’assemblea di valutare se richiedere la perizia al distaccante, qualora non prodotta sebbene anche richiesta dall’amministratore, o una controperizia, se i risultati della perizia di parte non convincono.
2)         Il distacco presuppone pur sempre un intervento sui beni comuni ed ai sensi del novellato art. 1122 c.c. “Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro dell’edificio. In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”. Ed “in ogni caso” sembra riferirsi ad ogni tipo di intervento sui beni comuni e non solo a quelli potenzialmente pericolosi.
3)         Ai sensi del DPR 74/2013, che ridefinisce le competenze del terzo responsabile per la conduzione, manutenzione e conformità a legge dell’impianto, occorrerà che l’intervento di distacco venga effettuato dal terzo responsabile, non potendo il tecnico del singolo condomino manomettere alcunchè. E’ pur vero che materialmente il “distacco” avviene dopo il punto di diramazione ai sensi dell’articolo 1117 c.c., tuttavia, come l’articolo 1118 comma 4° stesso riconosce, questa operazione va ad incidere sull’impianto complessivo di distribuzione.
Si potrebbero intravedere una responsabilità dell’amministratore per l’ipotesi di mancata convocazione dell’assemblea sul punto, ovvero responsabilità professionale per inadempimento al mandato ricevuto e quindi ai compiti propri dell’amm.re (disciplinare l’uso dei beni comuni, compiere atti conservativi dei beni comuni, convocare l’assemblea nei casi previsti dalla legge …). Si consideri, peraltro, che non convocare l’assemblea nei casi previsti dalla legge (e per la fattispecie potrebbe valere quanto previsto dall’art. 1122. c.c) potrebbe portare - extrema ratio - alla revoca ex art. 1129 c.c. comma 12 n. 1 (cioè omessa convocazione dell’assemblea nei casi previsti dalla legge).
E, di contro, se l’amm.re disattendesse del tutto la comunicazione di distacco, potrebbe essere il condomino ad agire verso l’amm.re per danni.

‘           Nell’assemblea chiamata a valutare la comunicazione di distacco si potranno verificare le seguenti ipotesi:
1)         la perizia del distaccato è esaustiva, perché dalla stessa si desume chiaramente che sono rispettate le condizioni  poste dal comma 4 dell’art. 1118 c.c. ed allora il distacco è legittimo e l’assemblea ne prende atto;
2)         la perizia del distaccato non sembra completa ed esaustiva ed allora l’assemblea chiede al condomino di procedere ad una integrazione della perizia;
3)         la perizia del distaccato non fornisce la prova del rispetto dei limiti contenuti nella norma o i risultati non risultano condivisibili ed allora l’assemblea decide di dare incarico ad un tecnico di redigere una controperizia, documento da utilizzare come prova documentale in ipotesi di eventuale contenzioso con il condomino distaccato
4)         la perizia del condòmino attesta che il distacco non rispetta le condizioni dell’art. 1118 comma 4 c.c. ed allora l’assemblea potrà vietare il distacco con motivazione espressa a verbale (ovvero mancanza dei presupposti di legge del diritto al distacco).
Se il condomino, cui l’assemblea ha vietato il distacco in assenza della prova delle condizioni richieste dall’art. 1118 comma 4 c.c., si distacca lo stesso il condominio lo diffida a ripristinare la situazione quo ante (riallaccio) e potrà promuovere una causa per far accertare la illegittimità del distacco.
Molte delle domande pervenute attengono ai requisiti della perizia che il distaccante ha l’onere di presentare.
Si ritiene che la perizia deve essere redatta da un tecnico abilitato, secondo quanto prescritto dal Dm 37/2008, cui rimanda anche il recente Dpr 74/2013, che ha ridisegnato il tema della conduzione e dei controlli degli impianti termici. Nella fattispecie, il professionista deve essere iscritto agli albi professionali ed essere in possesso delle specifiche competenze tecniche in materia di trattamento degli impianti di riscaldamento dotati di canne fumarie collettiva ramificate.
All’interno del documento devono essere presenti varie informazioni, innanzitutto l’accertamento dello stato dei consumi della caldaia  e la proiezione del consumo ipotizzato, in caso di distacco. In secondo luogo, la perizia va corredata da una previsione che attesti come, in virtù delle caratteristiche tecniche dell’impianto, il distacco non creerà notevoli squilibri all’impianto centrale.
Non pochi quesiti richiedono come gestire i distacchi ante riforma legge 220/2012, ovvero come si deve comportare l’amministratore nei confronti di quei condomini che si siano distaccati ante riforma, per i quali una delibera assembleare, ovvero una norma del Regolamento di condominio, o ancora una sentenza, abbiano stabilito una loro, pur minima, compartecipazione alle spese di combustibile dalle quali l’art. 1118 c.c. esonera totalmente i distaccati.
Si ritiene che l’amministratore dovrà continuare ad applicare la percentuale stabilita dalla delibera, dal regolamento o dalla sentenza.
L’art. 1118 comma 4 c.c. non è norma inderogabile e pertanto l’accordo (negoziale) scaturente dalla delibera o dal regolamento, ovvero la statuizione contenuta in una sentenza passata in giudicato (non più controvertibile) costituiscono la fonte regolatrice del regime di spesa applicato al caso specifico. Si consideri che l’art. 1123 c.c., in punto di ripartizione delle spese, fa salva la “diversa convenzione”.
Peraltro la legge non è retroattiva (art. 11 delle Preleggi) e non potrebbe pertanto applicarsi a casi precedenti già definiti.
Si osservi, ancora, che la quota per i consumi posta a carico dei distaccati  era, o meglio sarebbe dovuta essere,  il frutto ed il risultato di un’indagine tecnica con la quale quantificare la quota della dispersione del calore cioè l’incremento di spesa a carico degli altri condomini a seguito del distacco, per il combustibile necessario ad ottenere lo stesso quantitativo di calore precedente al distacco stesso. L’adozione da parte dell’assemblea condominiale di rapporti percentuali dei c.d. consumi involontari, senza il supporto della perizia tecnica, era ed è prassi erronea che espone la delibera alla contestazione da parte del soggetto distaccante che non abbia accettato la quota accollatagli dall’assemblea, e che potrebbe eccepire il vizio della delibera per eccesso di potere.
Alla luce di quanto esposto, coloro che, in forza di distacchi ante riforma, pagano una certa quota di consumo (tecnicamente compensativa dell’aggravio di costi per gli altri condomini), ai sensi del dettato dell’art. 1118 c.c. non avrebbero  proprio il diritto a rimanere distaccati, perché la quota che pagano comprova, appunto, l’esistenza di aggravi di costi per gli altri condomini.

Quali sono in concreto le spese dalle quali è esonerato il distaccante? E quali le condizioni per poter procedere al distacco?
Ai sensi del disposto dell’art. 1118 c.c. il distaccante deve contribuire alle spese per la manutenzione straordinaria, dell’impianto, per la sua conservazione e messa a norma.
Orbene, per una definizione di “manutenzione straordinaria” dell’impianto termico trova necessariamente applicazione il DPR 412/1993 il quale da la definizione di questa voce all’articolo 1 lettera i), definizione, identica a quella prevista nell’allegato A al D. Lgs 311/2006: “per «manutenzione straordinaria dell’impianto termico», si intendono gli interventi atti a ricondurre il funzionamento dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalla normativa vigente mediante il ricorso, in tutto o in parte, a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioni, ricambi di parti, ripristini, revisione o sostituzione di apparecchi o componenti dell’impianto termico”.
Di contro, per la voce “conservazione” non esiste una definizione. La Giurisprudenza, richiamando anche l’articolo 1104 del codice civile, ritiene che le spese per la conservazione attengano all’integrità del bene e riguardano le erogazioni per la conservazione in senso stretto, per la manutenzione ordinaria e straordinaria e per le riparazioni, ed afferiscono all’utilità oggettiva del bene (Cassazione Civile, Sez. II, 25.03.2004 n. 5975).
E’ quindi un concetto persino più ampio rispetto alla semplice manutenzione ordinaria che, però deve intendersi ricompresa. Giova anche in questo caso richiamare la definizione che l’allegato A al D. Lgs 311/2006 da a tale voce: «per “manutenzione ordinaria dell’impianto termico”, si intendono le operazioni specificamente previste nei libretti d’uso e manutenzione degli apparecchi e componenti che possono essere effettuate in luogo con strumenti ed attrezzature di corredo agli apparecchi e componenti stessi e che comportino l’impiego di attrezzature e di materiali di consumo d’uso corrente».
La “messa a norma”: si devono intendere tutti quegli interventi sull’impianto termico determinati da obblighi di legge.
Restano dunque escluse solo le spese per il godimento del bene le quali, attenendo all’uso delle cose comuni, scaturiscono da un fatto soggettivo, personale, mutevole, se si vuole escludere anche la spesa per il terzo responsabile che si ritiene spesa obbligatoria connessa alla gestione dell’impianto (contrariamente però a ben più autorevoli pareri in dottrina che includono le spese per il terzo responsabile tra quelle da esonerare).
Si tratta in sostanza di un esonero solo dai consumi per il combustibile e dall’energia elettrica necessaria per la produzione e la distribuzione del calore.
Peraltro, se si considera che normalmente un consumo indiretto (inteso come dispersione di calore) si verifica sempre, e questo verrebbe a gravare sugli altri condomini, si dovrebbe concludere che in ogni distacco mancherebbe il presupposto di “aggravi di spese per gli altri condomini”, con impossibilità di procedervi, salvo eventuali accordi in sede assembleare, come accadeva ante riforma legge 220/2012.
La Corte di Cassazione, anche di recente, con sentenza 30 aprile 2014, n. 9526, ha confermato un orientamento secondo il quale ci sarebbe, sempre, un aggravio di costi per gli altri condomini se non si verificasse un risparmio di spesa dei consumi a distacco avvenuto nelle gestioni successive. 
A dirla con un esempio: se il condominio Alfa spende per il combustibile per l’impianto 100 e la quota parte del distaccante è 10, a distacco avvenuto il consumo dovrebbe essere circa 90. E se ciò non avviene il distaccato deve contribuire interamente anche alle spese di consumo, difettando i presupposti per il distacco poiché la quota che non sarebbe posta a carico del distaccato graverebbe sugli altri.
Soluzione limite ed invero tecnicamente non condivisibile perché i consumi di ogni anno dipendono anche da fattori esterni, quali la rigidità della stagione ed una comparazione delle spese dei consumi nei vari anni non appare un parametro attendibile.
Per quanto attiene al requisito dello “squilibrio termico di funzionamento”, si deve intendere che esso faccia riferimento allo squilibrio impiantistico e non a quello termico dovuto alle differenze di temperature all’interno degli appartamenti  (Cassazione Civile, Sez. II, 27.05.2011 n. 11857).
Lascia basiti l’uso dell‘aggettivo qualificativo “notevole” che non si concilia con un testo di legge ma altrettanto sconfortati lascia l’ulteriore conseguenza di tale requisito che ingenererebbe una disparità di trattamento per l’ipotesi di distacchi multipli nel tempo. Infatti, se ai primi distacchi difficilmente si potrebbe registrare un “notevole” squilibrio di funzionamento, esso certamente ricorrerebbe per successivi distacchi, risultando a quel punto l’impianto sovradimensionato e anti economico.
Con la conseguenza che il diritto al distacco ricorrerebbe per i primi distacchi ma non per gli altri!

Il divieto di distacco previsto dal Regolamento di condominio
Poiché l’art. 1118 comma 4 c.c. non è tra gli articoli del codice civile dichiarati inderogabili dal comma 4 dell’art. 1138 c.c., il regolamento di condominio può prevedere il divieto di distacco o un regime di compartecipazione alle spese di combustibile e di gestione, per le ipotesi di distacco consentito, diverso da quello previsto dall’art. 1118 c.c. ed in tal caso prevarrebbe il regolamento. Ovvero, prevale il regolamento di contenuto contrattuale sull’art. 1118 c.c.
Va, tuttavia, segnalato, che una sentenza della Corte di Cassazione, Cass. sezione 2 n. 19893 del 29.09.2011, comunque precedente alla riforma legge 220/2014, ha stabilito, al contrario, che il regolamento di condominio, anche se contrattuale, non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge che tuteli interessi pubblici superiori.
Il linea con questo orientamento è uno dei primi pronunciamenti giurisprudenziali (Ordinanza di Torino del 20.01.2014) in materia, che considera non meritevole di tutela per contrarietà all’ordine pubblico la norma del Regolamento che vieta il distacco.
Suggerimento: si consiglia di rappresentare in assemblea il contrasto tra la norma dell’art. 1118 comma 4 c.c. e la sentenza in questione, lasciando all’assemblea la decisione di non consentire il distacco vietato dal Regolamento di condominio e rappresentando la eventualità che per conseguenza possa essere impugnata la relativa delibera.

Il condòmino che rifiuta di consentire la contabilizzazione nel proprio appartamento.
Se l’assemblea ha deliberato di passare al sistema di contabilizzazione del calore, come ora da obbligo di legge,  tutti devono consentire le opere e restano vincolati al deliberato anche i dissenzienti e gli assenti (art. 1137 c.c.).
Ove la questione non si risolva bonariamente, l’amministratore ha la possibilità di agire giudizialmente in via di urgenza per ottenere dal Giudice un provvedimento che gli consenta di accedere alla proprietà esclusiva. Ex art. 843 c.c.: “Il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune”.
In alternativa è anche possibile e legittimo che l’amministratore (meglio, l’assemblea) attribuisca al condòmino renitente l’intero consumo che risulta per differenza rispetto a quanto contabilizzato, come se avesse le valvole sempre completamente aperte alla massima potenza. In tale senso soccorre la sentenza già citata del Tribunale di Roma n. 9477/2010 G.U. D.ssa Dedato, secondo la quale “non può ritenersi arbitraria la decisione di attribuire la massima potenza calorica ai radiatori che sono sprovvisti di contabilizzatori del calore, in quanto, non essendo provvisti i radiatori di valvole di chiusura […], appare ragionevole ritenere che il consumo sia pari alla massima potenza calorica del radiatore.”

Il condòmino che rifiuta l’installazione essendo già distaccato
In tale caso particolare il rifiuto appare in linea di massima giustificabile. I misuratori condominiali non potrebbero svolgere la loro funzione sull’impianto singolo e non avrebbero utilità.

Il condomino già contabilizzato che vuole distaccarsi
Il condomino non usa l’immobile e quindi il riscaldamento: le valvole sono chiuse. Si chiede se può distaccarsi e se sia necessaria la perizia.
Premettendo che il non uso dell’impianto centralizzato non consente esonero dalla spese (Cass. 10560/2001, Cass 5813/2001) perché “il singolo condomino non ha firmato un contratto con prestazioni corrispettive con il condominio”,2 alla luce di quanto già esposto si deve ritenere esistere una valutazione negativa a tale operazione, desumibile dal sistema normativo pubblicistico.
In ogni caso, nella fattispecie rappresentata esiste anche un regolamento che sancisce l’impossibilità di sottrarsi alle spese riscaldamento rinunciando al riscaldamento e che prevarebbe rispetto al dettato dell’art. 1118 c.c.
Ciò premesso, si ritiene che il distacco sia escluso ma in ogni caso, pur volendolo astrattamente concepire, si imporrebbe comunque la necessità di una perizia che difficilmente, considerando il sistema di contabilizzazione, potrebbe portare a dimostrare l’assenza tecnica dell’aggravio di costi.

 

 

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1) Il distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento - testo a cura di Edoardo Riccio e Massimo Ginesi, approvato dal Centro Studi Nazionale in data 09.11.2013.
2) Avv. Carlo Patti, “Contabilizzazione del calore: casi particolari in condominio” Seminario Anaci Roma 15.05.2012.


Elisabetta Zoina, Consulente Legale ANACI Roma

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